Conti pubblici: non è il momento di chiedere altri soldi all'UE

Da anni il nostro paese approfitta di ogni occasione per evitare di rispettare gli obblighi che abbiamo assunto nei confronti dei partner europei

12 Aprile 2022

IBL

Argomenti / Economia e Mercato Politiche pubbliche

Mentre la crescita economica rallenta, i vincoli di finanza pubblica cominciano a mordere. Il governo italiano è tra quelli che hanno meno spazio fiscale per compensare il rallentamento dovuto sia agli alti prezzi dell’energia, sia alla guerra in Ucraina. Comincia, così, a sollevarsi il consueto coro: servono “misure europee” che compensino gli Stati più colpiti e, in particolare, quelli maggiormente esposti verso la Russia. Sottotitolo: l’Italia.

Purtroppo non funziona così. Peggio: se anche fosse così, questa volta non ci sarebbe l’Italia al centro delle manovre di soccorso Ue. Da anni il nostro paese approfitta di ogni occasione per evitare di rispettare gli obblighi che abbiamo assunto nei confronti dei partner europei. Prima ci abbiamo provato con la flessibilità: l’idea, cioè, che il rinvio del pareggio di bilancio avrebbe creato condizioni favorevoli alle riforme. Sicché, il deficit ha continuato a galoppare, mentre le riforme o non le abbiamo fatte, oppure le abbiamo disfatte il giorno dopo. Poi è arrivato il Covid, che ha messo in ginocchio l’economia italiana più del resto d’Europa: e anche qui c’è stata una presa d’atto che un nostro default avrebbe avuto effetti devastanti per tutti. È in questo contesto che è nato Next Generation EU, un programma da oltre 700 miliardi di euro in teoria diretto a tutte le economie in crisi, in pratica rivolto soprattutto a noi. E infatti Roma è stata tra i pochissimi ad attivare integralmente non solo i finanziamenti a fondo perduto ma anche tutti i prestiti, e anzi ad aggiungerci una trentina di miliardi di “fondo complementare”. Ancora una volta, però, mentre siamo stati solleciti nel battere cassa, gli investimenti promessi vanno a rilento mentre le riforme sembrano quasi uscite dal radar.

E, adesso, vorremmo altri soldi? Rispetto al passato ci sono almeno tre difficoltà in più. La prima: come possiamo pretendere la fiducia degli altri Stati membri, se la stiamo tradendo così vistosamente persino sul piano di “ripresa e resilienza” sul quale avevamo giurato che sarebbe stato diverso? La seconda: la crisi energetica sta colpendo praticamente tutta l’Europa allo stesso modo. Non c’è alcuna eccezionalità italiana. Come gli altri si rimboccano le maniche, così dovremmo fare anche noi: invece di spendere a pioggia decine di miliardi nella speranza che le cose si risolvano da sé, dovremmo focalizzare gli aiuti e orientarli al lungo termine. Infine, è vero che l’Italia presenta fragilità aggiuntive ma in gran parte dipendono da scelte che noi stessi abbiamo compiuto e che continuiamo a compiere: non è colpa dell’Europa o della globalizzazione se abbiamo la burocrazia più lenta d’Europa, se da anni non rilasciamo permessi per la produzione di petrolio e gas, se i conti delle imprese sono appesantiti da tasse e contributi proibitivi. Prima di chiedere altri denari con atteggiamento sempre più vittimistico, dovremmo forse interrogarci su cosa possiamo fare per cavarci d’impaccio. La soluzione non può arrivare sempre da fuori.

12 aprile 2022

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