Concorrenza e mercati aperti, impariamo da Madrid

La Comunidad guidata da Isabel Diaz Ayuso accetterà licenze commerciali valide in tutto il resto della Spagna

28 Febbraio 2022

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Economia e Mercato

Fra i principi cardine dell’Unione Europea c’è quello di «mutuo riconoscimento». Risale a una storica sentenza del 1979. La Corte di giustizia si espresse allora contro la pretesa del governo tedesco di vietare la circolazione sul proprio territorio del Cassis de Dijon, per quanto i tedeschi dichiarassero di farlo per «tutelare la salute». In quella circostanza si affermò che, in linea di massima, qualsiasi prodotto fabbricato e commercializzato all’interno di uno Stato membro dell’Unione Europea potesse essere venduto in un altro.

Oggi tendiamo a pensare che l’Unione Europea possa spingere la crescita italiana attraverso qualche meccanismo di tipo redistributivo, ma ci dimentichiamo che l’appartenenza al club europeo aiuta il nostro Paese anzitutto perché disponiamo di un mercato molto più grande. È una lezione che non si sono dimenticati a Madrid. La Comunidad, il governo regionale, ha appena varato una nuova legge, fortemente voluta dalla presidente Isabel Diaz Ayuso e dall’assessore all’economia Javier Fernández-Lasquetty. Si chiama «legge di mercato aperto», era stata annunciata da Ayuso in campagna elettorale lo scorso anno. L’idea è semplice e si basa su una versione spagnola del principio di mutuo riconoscimento. Gli Stati nazionali sono, al loro interno, mercati unici e hanno sempre assicurato, all’interno dei propri confini, libertà di scambio e di movimento. Così l’articolo 139 della Costituzione spagnola promette che «nessuna autorità può adottare misure che direttamente o indirettamente ostacolino la libertà di movimento e di stabilimento delle persone e la libera circolazione delle merci in tutto il territorio spagnolo». La situazione di fatto però è diversa.

Può capitare che, per esempio, i requisiti necessari per aprire una pizzeria siano diversi da una regione all’altra. In Spagna ciò avviene anche per le professioni che si esercitano su licenza o autorizzazione e persino per quel che riguarda merci e prodotti la fantasia dei governi regionali riesce a esercitarsi in torsioni inaspettate. Da noi, a differenza che in Spagna, queste si manifestano soprattutto nell’ambito della disciplina urbanistica.

Madrid ha scelto una soluzione radicale. Le imprese che hanno il proprio quartier generale in un’altra regione spagnola, e che sono in regola con le norme locali, non avranno bisogno di adeguarsi a quelle di Madrid e potranno fare riferimento a quelle della regione in cui hanno sede. La licenza presa da un professionista in un’altra regione varrà automaticamente in territorio madrileno, senza bisogno di adeguamenti o notifiche. Qualsiasi certificazione o autorizzazione ottenuta in un’altra regione sarà automaticamente valida anche a Madrid.

Nel breve, la capitale spagnola spera di diventare ancora più attraente per l’azienda che deve costruire un nuovo stabilimento o per la catena di distribuzione che deve aprire nuovi punti vendita.

Se, per esempio, una multinazionale ha cominciato a inserirsi nel mercato iberico aprendo un punto vendita a Barcellona non dovrà impratichirsi di norme o processi autorizzativi diversi: bastano quelli di cui ha già esperienza. Se un professionista ha ottenuto una licenza o una qualche forma di accreditamento a Valencia, egli avrà, indipendentemente dagli adeguamenti che possano chiedere altre regioni, il diritto di operare a Madrid.

Ma tanto più rilevanti sono gli effetti che è lecito attendersi nel medio termine. Madrid diventa un luogo nel quale aziende e lavoratori autonomi possono operare scegliendo l’assetto regolatorio più favorevole fra quelli disponibili in Spagna. Il governo regionale potrà chiedere informazioni a fini statistici alle imprese ma in ogni caso è impegnato a non chiedere un permesso in più di quelli che hanno già ottenuto altrove. Questo implica una sorta di liberalizzazione di fatto. Di per sé questo non significa che non ci possano essere buone ragioni per restringere l’accesso a una certa professione o a una certa attività. Vuol dire però che Madrid si è impegnata per non essere la regione più restrittiva e recepire le norme più favorevoli a produzione e commercio. E’ anche un modo per stimolare un processo di apprendimento circa le regole migliori, creando un’arena (Madrid) in cui saranno continuamente in concorrenza.

Il governo stima che la legge di mercato aperto genererà nel medio termine una crescita addizionale del Pil dell’1,6% e circa 50 mila posti di lavoro. Nel 2021, grazie alla scelta coraggiosa di tenere aperte quanto più possibile le attività, limitando la portata dei lockdown a singoli quartieri e provando a inseguire il virus con test massivi, il territorio madrileno è quello che è cresciuto di più di tutto il Paese: il 4,5%. Col passar dei mesi, è sempre più chiaro come quella che sembrava una rischiosa scommessa pandemica corrisponde in realtà a una filosofia. Rispetto alla politica fiscale, il governo guidato da Isabel Ayuso si è già impegnato ad azzerare la quota dell’imposta sul reddito di competenza della regione e a eliminare le imposte proprie: la tassa sull’installazione di macchine da gioco negli stabilimenti alberghieri e di ristorazione, la tassa sul deposito dei rifiuti e la maggiorazione di pertinenza regionale della tassa sulle attività economiche. Nonostante le lotte interne al Partito Popolare, la regione dì Madrid sembra determinata a essere, in Europa, un baluardo di quanti ritengono che sia la libertà economica a generare crescita.

da L’Economia – Corriere della Sera, 28 febbraio 2022

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