Con Salvini forte al sud addio autonomia

Adesso la Lega sovranista deve tenere assieme tutto (sapendo che molte richieste territoriali sono incompatibili)

29 Maggio 2019

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Con il 34% dei voti alle Europee, Matteo Salvini può sentirsi padrone del gioco e pretendere quanto vuole. In Lombardia, in Veneto e nella stessa Emilia Romagna il suo trionfo è stato anche legato a quella richiesta di autogoverno che le aree più produttive rivendicano, per gestire al meglio l’istruzione, la sanità, le infrastrutture. Non a caso nella regione che più sente questa esigenza, il Veneto, a urne ancora aperte il presidente degli industriali Matteo Zoppas ha ricordato la necessità di passare dalle parole ai fatti: in particolare accelerando sul tema dell’autonomia. La situazione di Salvini, però, non è semplicissima. La Lega è infatti il primo partito in una settantina di province: a Como ma anche a Reggio Calabria, a Treviso ma anche a Vibo Valentia. È vero che i leghisti hanno ottenuto il 50% dei voti in Veneto, ma ciò che ha riempito il sacco salviniano è stato soprattutto quanto è accaduto al Sud e nelle isole, perché ormai la Lega è prima in Abruzzo, nel Lazio e in Sardegna, ed è seconda nel resto del Centro-Sud.

La crescita è stata impetuosa, sebbene ci siano ancora margini di miglioramento. Adesso la Lega sovranista deve tenere assieme tutto (sapendo che molte richieste territoriali sono incompatibili) e deve evitare di rompere con i Cinquestelle. Dalle prime dichiarazioni di Salvini appare chiaro che spingere troppo sul tema dell’autonomia vorrebbe dire accelerare quel destino «renziano» su cui molti già ora scommettono. Se Matteo 1 ebbe il 40% alle scorse Europee e ora è un comprimario, perché non potrebbe fare la medesima fine Matteo 2, che pure l’altro giorno ha incassato il 34% dei consensi? Per la Lega è allora indispensabile seguitare a parlare di sicurezza, assai più che di autonomia.

Con ogni probabilità, Salvini fisserà l’agenda politica ponendo al centro del dibattito la flat tax e le spese pubbliche per gli investimenti: soprattutto se ciò l’aiuta a entrare in contrasto con Bruxelles. Il Capitano sa bene che le ricette economiche del suo governo non conducono da nessuna parte e ha bisogno di «capri espiatori». I Cinquestelle funzionano benissimo, in questo senso, ma iniziare un braccio di ferro sulla cattiva Europa che vuole impedirci di far aumentare il debito pubblico è, per certi aspetti, perfino più efficace. Ovviamente Salvini deve continuare a presentarsi come un ministro dell’Interno concreto, che porta a casa risultati: anche se poi, nei fatti, l’immigrazione irregolare non s’è affatto fermata. La retorica sulla sicurezza usata dal segretario della Lega è comunque efficace e può garantirgli un perdurante appeal in larga parte degli elettori.

Oltre a ciò, c’è però la necessità di continuare ad apparire il nemico delle élite dominanti: «dei giornaloni, dei professoroni, dei banchieri, dei potenti». Governare a Roma con pugno duro il tema della sicurezza e sfidare Bruxelles e la Bce sulle questioni economiche: grazie a questo schema dialettico, il Matteo leghista può forse durare un po’ più a lungo del suo predecessore.

Da Il Giornale, 29 maggio 2019

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