“La conoscenza è inutile”, propagandava uno slogan popolare cinese all’epoca di Mao. Per chi, invece, sostenesse il contrario, il volume di Ronald Coase e Ning Wang, pubblicato per l’Italia dall’Istituto Bruno Leoni, analizza la storia economica recente della Cina, indagando il percorso evolutivo e le ragioni che hanno condotto tale Paese a rappresentare, attualmente, la seconda potenza economica mondiale. “Come la Cina è diventata un paese capitalista” sviluppa il percorso particolare e contradditorio della storia economica cinese, da Mao ai giorni nostri: emerge un quadro nitido dell’evoluzione della struttura economica della Cina, all’interno del quale vengono tratteggiate anche caratteristiche politiche e sociali, che meriterebbero ulteriori approfondimenti.
Attraverso un percorso ricco di contraddizioni e paradossi, Coase e Wang spiegano come, da paese rigidamente chiuso nei confronti dell’esterno, la Cina sia diventata una delle principali potenze economiche a livello mondiale. Il libro rappresenta, quindi, una base per capire la storia economica recente del Paese, sviluppando un’analisi delle politiche promosse da Mao ed approfondendone in particolare il periodo successivo. Emerge, sin dai capitoli relativi all’epoca di Mao, un quadro orwelliano del Paese, in cui, a seguito di politiche in materia di decentramento amministrativo, le autorità locali trasmettevano “resoconti esagerati sulla produzione agricola”, maggiormente preoccupate dì compiacere il governo centrale piuttosto che divulgare informazioni corrette. Nello stesso periodo, inoltre, era proibito lo spostamento del frumento, delle persone e dell’informazione. Nel prosieguo del saggio, viene analizzato il percorso di riforma dell’economia cinese successivo alla morte di Mao, graduale e spesso contradditorio, innanzitutto a partire dalle aperture nei confronti dell’esterno. Il percorso di apertura si sviluppa in diverse dimensioni, sia in termini di apporto di capitali, sia importando conoscenze sui principi di mercato (attraverso lezioni di Milton Friedman ai burocrati cinesi sui principi di mercato, la cui conoscenza era spesso inesistente o errata in modo simile ai metodi con cui Giappone importò i principi della qualità totale negli anni ’50), sia sviluppando rapporti diplomatici con i paesi del mondo occidentale. Nel corso del saggio vengono poi evidenziate ulteriori contraddizioni della crescita cinese, imperniata nella tensione verso un socialismo che doveva garantire eguaglianza, prosperità e felicità per la popolazione, mentre additava il capitalismo come fonte di ogni male.
Tra i diversi paradossi, nel testo viene più volte evidenziato che, mentre nell’epoca di Mao l’imprenditoria privata era strettamente proibita, essa diventò, attraverso progressive aperture, tra i principali motori di crescita dell’economia cinese. Nonostante il rilevante ruolo che stavano acquisendo, in particolare dagli anni ’70-’80, le imprese private furono per diverso tempo sottoposte a maggiori vincoli delle aziende pubbliche. I dipendenti di tali strutture erano considerati inferiori e più instabili degli omologhi delle aziende statali, ritenute più solide nel lungo periodo. Nonostante i minori risultati economici, i dipendenti delle aziende statali godevano ancora, culturalmente, di più prestigio rispetto ai dipendenti delle aziende private. Furono queste ultime, cresciute negli anni in numero e in produttività, insieme alle “rivoluzioni marginali” (che introducevano alcuni principi del capitalismo in elementi non centrali del sistema economico ed istituzionale), a rappresentare i principali motori di crescita della Cina negli ultimi trent’anni. Le deviazioni da un sistema puramente socialista erano giustificate adducendo ad un ruolo propedeutico delle stesse per il mantenimento del regime, non minandone i cardini, ma svolgendo un ruolo strumentale allo sviluppo del socialismo. Negli ultimi tre decenni si è sviluppato, dunque, un “capitalismo con caratteristiche cinesi”, dotato di caratteristiche proprie derivanti dalla storia particolare del Paese, in cui “l’economia di mercato cinese funziona a modo suo”.
Tra gli elementi di attualità analizzati nel saggio, gli autori esplicitano alcuni dei limiti del modello di sviluppo cinese, in particolare la scarsità del “mercato delle idee”, che non permette al Paese di sviluppare prodotti innovativi, preferendo “prendere commesse manifatturiere da altri piuttosto che inventare i propri prodotti”. Il “mercato delle idee” non è, comunque, da confondere con il concetto di democrazia politica: gli autori concentrano l’analisi in particolare sul primo elemento, con uno sguardo anche rivolto al futuro. Per sostenere il ritmo di crescita, infatti, Coase e Wang sostengono che la Cina del futuro debba diventare maggiormente innovativa, per divenire una potenza anche nella produzione di idee
Da Libro Aperto, agosto-settembre 2014