Colpire gli extra profitti non serve ed è sbagliato

Per Nicola Rossi l'imposta sui guadagni realizzati con l'aumento del gas poggia su basi sbagliate

31 Agosto 2022

Formiche

Argomenti / Politiche pubbliche

La invocano tutti, o quasi. Perché potrebbe essere una parte della soluzione alla crisi energetica che sta trascinando l’Italia nell’abisso, con decine di imprese che non sanno se domani, tra una settimana o un mese riusciranno ad avviare le macchine. La tassa sugli extra profitti è nella testa del governo di Mario Draghi il jolly per finanziare un nuovo intervento sulle bollette, dell’ordine di 15 miliardi. Non se ne parla, è il pensiero del premier, di fare altro deficit e mettere ancora sotto stress i conti. Eppure, c’è chi non è d’accordo, non certo uno sparuto manipolo.

E così, mentre l’Europa si compatta sul price cap al gas dopo il sì a mezza bocca della Germania, in Italia si lavora a un remake dell’imposta (10%) sui guadagni delle imprese energetiche che, grazie all’aumento del prezzo del gas, hanno marginato più del previsto. L’obiettivo è recuperare risorse per sostenere chi con l’aumento del prezzo di gas e luce ha perso soldi. Problema, nessuno, o quasi, sta pagando. In base ai calcoli della scorsa primavera, quest’ultima doveva liberare 10,5 miliardi e invece ne sono entrati poco più di un decimo. E questo perché la maggior parte delle aziende ha scommesso sull’incostituzionalità della misura. E pensare che ora l’esecutivo punta a incrementare l’aliquota al 25%. Nicola Rossi, economista dell’Istituto Bruno Leoni ed ex parlamentare dem, non ha dubbi: un nuovo affondo sugli operatori dell’energia non solo andrebbe incontro a limiti di principio ma non porterebbe il beneficio sperato.

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