La censura di Facebook e il rischio oligarchia

Ormai non sappiamo più cosa sia privato e cosa sia pubblico

19 Gennaio 2021

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

La decisione di Facebook e altre piattaforme di escludere Donald Trump, ma oltre a lui molti suoi seguaci, continua a far discutere. Se una parte dell’opinione pubblica sembra solo esprimere soddisfazione, altri si chiedono se non si sia di fronte a una forma di “censura”. Il dibattito è vivo e obbliga a un esame della società contemporanea nel suo insieme.

Non vi è dubbio che oggi vi siano mega imprese private che svolgono un ruolo cruciale nel dibattito pubblico. I gestori dei social network, è chiaro a tutti, possono togliere la parola a chiunque e quando vogliono. Per giunta, se l’episodio più clamoroso adesso riguarda Trump, si tratta soltanto dell’ultimo di una serie: basti ricordare che anche il più noto esponente libertario, Ron Paul, non ha potuto postare in Facebook il suo settimanale “Liberty Report”.

È evidente che ognuno a casa sua fa quello che vuole. Recentemente proprio la Corte suprema degli Stati Uniti ha dato ragione a un pasticcere che si era rifiutato di realizzare una torta di nozze per una coppia gay. Anche se detto così può suonar male, il “diritto a discriminare” è fondamentale e infatti ognuno di noi sceglie una confessione religiosa invece che un’altra, compra certi libri e gli altri no.

La domanda da porsi, però, è quanto rimanga di privato in una realtà come Facebook. C’è un’immagine che è utile ricordare: quella di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, dinanzi alla commissione d’inchiesta del Congresso. Ad di là dei motivi specifici di quell’audizione, è parso visivamente chiaro a tutti come perfino un simile colosso possa da un momento all’altro essere distrutto da qualche nuova leggina sulla concorrenza o sul diritto tributario.

Non soltanto Facebook può quindi trasformare il suo business in un’arma politica (dato che gestisce i dati personali di 2 miliardi di individui), ma il potere stesso può far intendere molto bene a quell’impresa che essa deve stare allineata. La nostra difficoltà, quindi, è che ormai non sappiamo più cosa sia privato e cosa sia pubblico, dato che ogni settore (e questo vale soprattutto per le grandi aziende) è finanziato, minacciato, regolamentato e sussidiato.

In questo quadro è ragionevole pensare che le principali imprese siano sempre sotto minaccia (si pensi alla normativa antitrust), ma al tempo stesso siano in grado di trarre benefici dai rapporti che intrattengono con i potenti di turno. Forse non è un caso se Trump e i suoi sono stati messi fuori proprio quando ormai erano sconfitti.

Quando il regime sovietico fu smantellato, molti gerarchi si spartirono la torta e venne a definirsi un ordine politico sostanzialmente autoritario accompagnato da un sistema economico nelle mani di pochi miliardari “oligarchi”, beneficiari di questa situazione.

Il timore è che l’Occidente non si trovi in una situazione troppo differente, dando così ragione a George Orwell, che alla fine de “La fattoria degli animali” descrive i maiali socialisti e gli uomini capitalisti usando queste parole: “Al di fuori le creature guardavano prima il maiale e poi l’uomo, e poi l’uomo e il maiale, e ancora il maiale e l’uomo, ma ormai era impossibile dire chi fosse chi”.

Da La Provincia, 19 gennaio 2021

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