“Per ogni problema complesso c’è una risposta chiara, semplice e sbagliata”: la battuta di H.L. Mencken si adatta perfettamente al mito del “disaccoppiamento dei prezzi dell’energia elettrica da quelli del gas”, che ormai da anni viene riproposto come soluzione al caro-energia. Da ultimo, lo ha rilanciato la segretaria del Pd, Elly Schlein, davanti alla platea di Cernobbio, con l’aggiunta che altri paesi europei lo avrebbero addirittura messo in pratica. Ma la stessa tesi è stata sostenuta, tra gli altri, dal presidente di Confindustria Emanuele Orsini e dalla premier Giorgia Meloni.
L’idea del disaccoppiamento è che un bene omogeneo (l’elettricità) debba essere venduto, sui mercati all’ingrosso, a un prezzo diverso a seconda del modo in cui è prodotto. Questo perché alcune tecnologie, come le fonti rinnovabili, hanno costi (marginali) inferiori ad altre, come il gas, ma è quest’ultima a determinare i prezzi nella maggior parte dei casi. Può apparire astruso ma, in verità, qualunque studente del primo anno di economia impara che, in un mercato ben funzionante, i prezzi di equilibrio riflettono i costi marginali di produzione. Non solo: chi propugna la bizzarra idea di “segmentare” il mercato sembra ignorare che i costi marginali (cioè i costi che il produttore deve sostenere per aggiungere una unità) non coincidono coi costi totali: il costo marginale delle fonti rinnovabili è circa zero, perché il sole e il vento sono gratis, ma il loro costo totale è ben superiore, perché l’investitore deve remunerare il capitale investito. Quindi, come spiegano Luca Lo Schiavo e Carlo Stagnaro in un Focus che abbiamo pubblicato alcuni giorni fa, non c’è cambiamento delle regole che possa cambiare la realtà fisica sottostante, cioè la condizione di domanda e offerta da cui i prezzi in ultima analisi devono dipendere. Imporre al mercato un esito diverso, come ogni altra forma di controllo dei prezzi, è il primo passo su una china che, nella storia, ha sempre portato al disastro.
C’è di più: è vero che la Spagna e il Portogallo hanno adottato un meccanismo che ha effetti simili al “disaccoppiamento” (pur non intervenendo, dal punto di vista formale, sulla formazione dei prezzi). Ma quel meccanismo, reso possibile dalla scarsità di interconnessioni col resto d’Europa, aveva natura puramente emergenziale ed è cessato nel 2023. Inoltre, era costruito per scattare solo in presenza di prezzi del gas eccezionalmente alti, superiori ai 65 euro / MWh, circa il doppio dei livelli attuali: se anche fosse in vigore non produrrebbe alcun effetto. Da ultimo, il “tope al precio del gas” (questo il suo nome) funzionava come un sussidio agli impianti a gas, per ridurne i costi: era cioè uno di quei “sussidi ambientalmente dannosi” che il nostro paese si è impegnato a eliminare. Non a caso, nella penisola iberica ha prodotto un aumento del consumo di gas.
I costi dell’energia sono un problema reale per l’Europa e ancor più per l’Italia. Proprio per questo vanno presi sul serio, senza cercare scorciatoie inutili o dannose.