C'era una volta il totem del Primo Maggio

Secondo uno studio della Cgia di Mestre, circa 5 milioni di italiani in occasione della festa del Primo Maggio lavorano come sempre

2 Maggio 2018

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

C’era una volta il Primo Maggio. Ogni attività era sospesa e l’intera società festeggiava il lavoro, quale strumento di elevazione.
Era anche una festa di «classe», dal momento che quando ci si riferiva ai lavoratori non si pensava certo ai geometri o ai medici, ma invece a quella classe operaia che era al cuore di una battaglia volta al riscatto sociale. La festa era una sospensione dalla fatica delle officine, certo, ma era anche una vera e propria celebrazione.
Ora quel Primo Maggio non c’è più. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, circa 5 milioni di italiani oggi lavorano come sempre. Molti nel commercio e nella ristorazione, ma anche nella sanità, nella pubblica amministrazione, nei trasporti e in altri settori. Un numero mai stato così alto. Tutto è davvero cambiato. La grande fabbrica ha perso la sua centralità. E se un’azienda che produce acciaio o autovetture può anche sospendere la propria produzione per un’intera giornata senza troppe conseguenze, lo stesso non si può dire per una casa di cura per anziani o una caserma di polizia incaricata di garantire la sicurezza. Per giunta, dobbiamo prendere atto che è ormai venuta meno la «sacralità» di questa festa laica, le cui origini risalgono alla fine dell’Ottocento, quando la Seconda Internazionale (che riuniva i movimenti socialisti) volle ricordare la rivolta di Haymarket, vicino a Chicago, del 1886. Quello è il mondo che ha generato una simile festività, a partire da una visione del lavoratore come «homo faber»: un produttore sfruttato dal sistema capitalistico, ma che può liberarsi grazie al socialismo. Tanta acqua è passata sotto i ponti e ormai viviamo in una società post-marxista, incapace di vedere in ogni persona un soggetto che si realizza primariamente nella produzione. Il lavoro era importante e lo è ancora oggi: e soprattutto è cruciale creare un quadro di regole che permetta a chi non ce l’ha di trovarlo. Il lavoro non va però assolutizzato sulla base di una visione materialista che nega l’uomo in ciò che ha di più prezioso.

da Il Giornale, 1 maggio 2018

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