Bene avviare riforme, ma la redistribuzione è una sfida difficile

La patrimoniale torna nel dibattito politico, ma redistribuire in modo equo è più difficile a farsi che piuttosto che a dirsi

10 Novembre 2025

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nel 1919, il manifesto dei Fasci italiani di combattimento proponeva “una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo”, cioè una patrimoniale per i più ricchi. Un po’ quello che sembrano prospettare, in questi giorni, Maurizio Landini e Elly Schlein. Da più di un secolo almeno, tassare i ricchi è diventata una proposta ciclica della politica. A livello dottrinario, si riconosce che la tassazione del patrimonio, specie se immobiliare, è a minor rischio di evasione e potrebbe risolvere la complicatezza di un sistema impositivo ormai irrazionale. Ma la mitologia dell’imposta sul patrimonio, come titola un bel libro del professor Enrico Marello dell’Università di Torino, dipende non da elementi tecnici, ma da un motivo politico. Chi avanza l’idea della patrimoniale non lo fa perché la ritiene un’imposta più efficiente di quella sui consumi, ma per il mito, appunto, del suo effetto redistributivo di togliere ai ricchi per dare ai poveri.

Nel 2013 Thomas Piketty, nel suo best seller Il capitale nel XXI secolo, è tornato a suggerire la patrimoniale a livello mondiale per tale motivo, diventando anche per questo uno degli economisti guru della sinistra. L’idea alla base è che tassare la ricchezza oltre una certa soglia avrebbe un effetto compensativo dell’intrinseca iniquità del tanto accumulato da pochi. Un’idea seducente che parla di imposte non in termini di efficienza, ma di giustizia ed etica. Quando Landini evoca un contributo straordinario dei super ricchi e Elly Schlein una tassa modello Mamdani, non stanno pensando che è più facile evadere l’Iva che l’Imu sulla seconda casa, né che potrebbe essere più remunerativo per lo Stato tassare il risparmio (in Italia, molto alto), piuttosto che il reddito (in Italia, molto evaso). Stanno riproponendo una forma di lotta di classe, con una certa dose, peraltro, di provincialismo rispetto agli esiti elettorali di New York.

Mettendosi comunque nel solco del loro ragionamento, bisogna chiedersi se la finalità redistribuiva sia facile a raggiungersi tanto quanto a dirsi. In effetti, tassare il patrimonio in maniera equa non è così semplice. Proprio perché sarebbe un’imposta a finalità regolatoria più che fiscale (generare equità più che trovare risorse per lo Stato), bisogna fare in modo che non abbia effetti distorsivi. Bisogna, quindi, definire la soglia sopra la quale la ricchezza accumulata è troppa e decidere quale delle tante sue manifestazioni sia presupposto di imposta. Bisogna poi considerare – e non è semplice – il patrimonio di un soggetto nel suo insieme e non le singole manifestazioni che potrebbero simulare o dissimulare una ricchezza reale differente. Infine, bisogna qualificare e ponderare la ricchezza che le singole componenti patrimoniali esprimono in sé e nel complesso.

Patrimonio sono le abitazioni ma anche i terreni improduttivi, i libretti di risparmio ma anche il capitale finanziario. Quanto è ricco un soggetto proprietario di più immobili con esposizione debitoria presso le banche? Quanto lo è chi possiede azioni che il giorno dopo valgono la metà o il doppio del giorno prima? Quanto è patrimonializzata la ricchezza di un’azienda che decide di reinvestire i suoi utili non per comprare capannoni ma per migliorare la propria produttività? Quanta ricchezza si cela dietro l’accumulazione di beni preziosi, che non sono registrati, rispetto al possesso di macchine d’epoca, che sono invece registrate? L’equivalenza tra reddito e patrimonio è un teorema da dimostrare, mentre il carattere unitario e omogeneo del patrimonio è un’illusione.

La dottrina tributaristica si esercita su queste domande da decenni. Volendo, quindi, si possono dare risposte e fare dei tentativi. A due condizioni, però: uscire dalla retorica combattente e sterile per cui è ora di far piangere i ricchi, come recitava una campagna di Rifondazione comunista durante la finanziaria per il 2007; e non aumentare la pressione fiscale, per cui per ogni euro di gettito stimato dalla patrimoniale bisogna individuare un euro di minor entrata da altre imposte.

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