Banche: aprirsi per uscire dalla crisi

Potremmo essere alla vigilia di una vera rivoluzione del rapporto tra produzione e finanza, tra lavoro e moneta

3 Ottobre 2017

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Dal primo ottobre gli italiani fanno i conti con rilevanti aumenti delle spese bancarie. L’invio dell’estratto conto, il pagamento con addebito e altre operazioni costeranno di più. E questo varrà pure per talune banche on line, che finora avevano mantenuto costi nulli a carico dei clienti.

L’origine di tutto sta nelle difficoltà del sistema bancario, che non a caso ha già conosciuto una serie di crolli. L’opinione pubblica è bene al corrente di quanto è successo al Monte dei Paschi di Siena, alla Banca Etruria e alla Banca popolare di Vicenza, solo per citare i casi più noti. Quanti si sono soffermati su queste realtà hanno spesso sottolineato gli errori di gestione e, in varie circostanze, anche i comportamenti scorretti dei vari amministratori, ma rilevare questo non basta.

Più in generale, bisogna comprendere come un mondo bancario chiuso alla concorrenza e politicizzato appaia inadeguato a sorreggere il sistema economico nel suo insieme. Ci sarebbe bisogno di avere una più ampia concorrenza, oggi impedita dalla legislazione in materia e dalla funzione svolta dalla Banca d’Italia, così da introdurre anche in questo settore le logiche della concorrenza imprenditoriale.

Per giunta, se i servizi sono spesso di qualità modesta, se i costi crescono di continuo e se molti istituti si trovano in pessime condizioni, la ragione è da trovare nel legame tra le finanze pubbliche, l’azione della Bce e il sistema delle banche commerciali. Da anni vari Stati europei (a partire dall’Italia) stanno scaricando l’onere dell’acquisto dei propri debiti sulle banche, così che il disastro derivante dall’espansione incontrollata della spesa pubblica ormai ha investito l’intero comparto bancario e finanziario.
Il risultato è che le imprese hanno difficoltà a trovare risorse e, a questo punto, anche gli oneri sulle famiglie crescono sempre più.

Per giunta, potremmo essere alla vigilia di una vera rivoluzione del rapporto tra produzione e finanza, tra lavoro e moneta. La telematica ha già profondamente cambiato il mondo delle banche, che se ha perso tanti addetti è perché ognuno di noi preferisce spesso fare da sé con l’home banking. Sviluppando questa tendenza, l’oggetto stesso al centro del mondo bancario (la moneta) potrebbe cambiare in modo significativo. In effetti, da tempo l’attenzione degli esperti è verso quelle crittomonete (la più nota è bitcoin) che sono emerse sul mercato negli ultimi otto anni e che stanno introducendo nuove forme di pagamento: capaci di saltare l’intermediazione bancaria. Grazie alla blockchain, che è un sistema di registrazione informatica condiviso tra moltissimi operatori, queste monete sono trasferite da un titolare all’altro senza transitare da una banca; e per giunta sono monete “non di Stato”, che rendono impossibile quel finanziamento della spesa pubblica a cui in larga misura hanno attinto i governi in questi anni. I quattro euro da pagare per un’operazione allo sportello potrebbero allora essere solo il segnale di difficoltà più generali, destinate a condurci in un contesto che modificherà profondamente la moneta, le banche e, alla fine, le stesse finanze degli Stati.

Da La Provincia, 3 ottobre 2017

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