Autonomia: da due secoli sogno lombardo

La lontana (e mai sopita) aspirazione all'indipendenza di cui si colgono i segni anche nelle Cinque Giornate del 1848

22 Giugno 2017

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Il 22 ottobre in Lombardia, come in Veneto, si voterà per interpellare la popolazione sull’opportunità di sfruttare il Titolo V della Costituzione, che in linea teorica permetterebbe a ogni regione di dotarsi di molte più competenze e tenere tante più risorse sul territorio. Con ogni probabilità gli elettori si esprimeranno a favore di una Lombardia autonoma, ma al tempo stesso è facile prevedere che tale richiesta di autogoverno continuerà a essere ignorata.

In Parlamento i rappresentanti lombardi sono minoritari e, per di più, la finanza pubblica è in dissesto: la condizione dei conti pubblici impedisce all’Italia di rinunciare anche a solo a una quota di quegli oltre 50 miliardi che indicano la differenza tra quanto i lombardi pagano allo Stato italiano e l’insieme dei servizi che ricevono. Nonostante ciò, il voto di ottobre potrebbe rianimare una mai sopita aspirazione dei lombardi a “fare da sé”.

Soluzione piemontese
Negli ultimi duecento anni, in effetti, la Lombardia ha sempre manifestato uno spiccato desiderio di autonomia. Anche se oggi leggiamo le Cinque Giornate milanesi del 1848 in un quadro interpretativo strettamente risorgimentale, va ricordato che numerosi tra i protagonisti di quella rivolta avversarono ogni soluzione “piemontese”. Ed è interessante ricordare che quando l’unificazione fu realizzata, Carlo Cattaneo sceglierà la strada dell’esilio elvetico. Pesava negativamente l’assetto istituzionale (monarchico, invece che repubblicano), ma era egualmente rigettato un modello giacobino che sopprimeva ogni libertà della comunità lombarda, da lui mirabilmente raccontata nelle “Notizie naturali e civili su la Lombardia” del 1844.
Benché molto avanzata sul piano economico e culturale, la Lombardia è stata spesso politicamente debole: prima dominata dalla Spagna, poi inglobata nell’impero asburgico e, infine, assorbita dal Regno d’Italia. Spinte centrifughe, però, non sono mai mancate.

Quando nel 1898 in varie parti d’Italia scoppia la cosiddetta “rivolta dello stomaco” contro il caro-vita, l’epicentro è proprio a Milano. All’indomani della repressione del generale Fiorenzo Bava Beccaris, un conservatore illuminato di origini napoletane, Eugenio Torelli Viollier (fondatore del “Corriere della Sera”), evidenzierà come i tumulti fossero stati non solo socialisti, ma anche autonomisti: «Ogni lira che si spende dallo Stato inutilmente, è da ogni milanese considerata come toltagli di tasca: non c’è altro popolo che abbia più vivo il concetto che passa tra le spese dello Stato e la fonte delle entrate».

Passa un altro mezzo secolo e, quando in cui il fascismo crolla, è ancora in Lombardia che con più forza si torna a parlare di ipotesi federaliste. Il 27 aprile del 1945 escono a Como due quotidiani “Il popolo comasco” e “Il Cisalpino” che pubblicano il medesimo articolo di fondo, scritto da Tommaso Zerbi. Nel pezzo (intitolato “Cantoni, non regioni”) l’autore auspicava che la classe dirigente chiamata a ricostruire il Paese riconoscesse il diritto delle varie comunità a gestirsi liberamente e che, lasciatisi alle spalle il nazionalismo mussoliniano, si potesse andare ben oltre quel blando regionalismo amministrativo che, invece, sarà fatto proprio dall’assemblea costituente.

Un giovane intellettuale
Del gruppo che si riuniva attorno a Zerbi faceva parte un giovane intellettuale, destinato a dare contributi fondamentali alla scienza politica: Gianfranco Miglio. E certamente è il futuro senatore (sarà eletto come indipendente nelle liste della Lega Nord) che, più di tutti, svilupperà una riflessione originale sulla necessità, per la Lombardia, di sottrarsi al controllo di un potere lontano ed estraneo.

Gli studi sulla politica condotti da Miglio sono stati di indubbia originalità e pochi autori, anche fuori dei nostri confini, possono reggere il confronto. Sulla questione della Lombardia, ad ogni modo, egli interpretava una domanda largamente condivisa, in particolare nel mondo produttivo.

Non più periferia
In tal senso non sorprende che una rivista come “Federalismo & Società” (che per più di un decennio ha raccolto il meglio della riflessione autonomista, indipendentista e federalista) sia stata realizzata all’Hotel Duomo di Milano: prima sotto la guida di Mario Unnia e poi per iniziativa di Mauro Marabini, direttore oltre che editore della rivista. E sempre in Lombardia, nel corso degli anni, sono sorte varie iniziative di approfondimento storico e culturale (si pensi a “Terra insubre”), insieme a pubblicazioni politiche, economiche e istituzionali di taglio liberale, schierate contro ogni solidarietà territoriale imposta e contro ogni centralismo.

Il prossimo 22 ottobre andrà alle urne, insomma, una Lombardia che da tempo mostra insofferenza per lo status quo e che non vuole più essere poco più di una periferia. Con quel voto, allora, potrebbero anche aprirsi prospettive piuttosto nuove.

Da La Provincia, 22 Giugno 2017

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