Arbasino gran borghese

Borghesi, come ha insegnato Sergio Ricossa, non si è tanto per nascita o per volontà di appartenenza ma piuttosto per aspetti caratteriali

31 Marzo 2020

IBL

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Che fosse un “gran lombardo” lo hanno messo in evidenza in molti, ricordandone il profilo in occasione dei tanti articoli dedicati alla sua scomparsa avvenuta la scorsa settimana. Alberto Arbasino erede di Parini e Dossi, Beccaria e i Verri, Porta e Cattaneo, ma soprattutto di Gadda, del quale si definiva suo “nipotino”. Arbasino un illuminista lombardo, pop, frivolo, mondano, salottiero, dandy, contemporaneo. Arbasino un libertino cosmopolita, che con il suo romanzo-mondo “Fratelli d’Italia” ha raccontato gli anni del boom economico come nessun altro scrittore italiano ha saputo fare. «A ben vedere è caratteristico che l’unico romanzo di cui il boom è protagonista sia “Fratelli d’Italia” di Alberto Arbasino (1963), ossia la cronaca di un accidioso pellegrinaggio on the road lungo l’Italia imbracata dai cantieri e del fatuo cicaleccio di un gruppo di miracolati divisi tra tedio e irrequietezza», ha scritto Silvio Lanaro nella sua “Storia dell’Italia repubblicana”.

La nascita della società dei consumi vista con gli occhi di intellettuali alto-borghesi, un documento anche critico ma assai distante dalle posizioni prese in quel periodo da scrittori come Pasolini. Arbasino pronto a fustigare vecchi e nuovi vizi, a rimpiangere in un certo senso la fine del vecchio mondo, ma che non dimentica di fare emergere un aspetto fondamentale di quegli anni: il boom che innalza il tenore di vita degli italiani. Il quinquennio che va dal 1958 al 1963 è infatti quello della “grande trasformazione”, in cui il PIL cresce a un tasso medio annuo superiore al 6%. Lo sviluppo è legato soprattutto alla produzione di beni durevoli, come automobili, elettrodomestici, ecc. e la “fame” di automobili private si affianca alla costruzione di nuove arterie e soprattutto nuove autostrade. Il libro di Arbasino è pienamente rappresentativo di tutto questo nuovo mondo: «E che felicità neo-italiana, queste soste sull’autostrada nuova, pulita, fresca: bere, lavarsi, verificare sulle realtà le ipotesi della sociologia fantasiosa, tra facce sempre più incredibili anche se poi si riconoscono nella scultura del passato… Cani che saltano fuori a coppie educate dalle Flaminie, bambini d’una biondezza come non s’era mai vista, cosce lunghe senza precedenti qui, proletari in tuta nuova che per la prima volta nella storia d’Italia siedono a un ristorante praticamente di lusso per un buon pasto completo col loro vino e il loro caffè».

L’intellettuale gramscianamente impegnato di quell’epoca, così come veniva inteso nel nostro paese, ha poco o nulla a che vedere con Arbasino, che dietro la sua leggerezza disquisiva e trattava – come avviene in “Fratelli d’Italia” – di qualsiasi argomento culturale facendo riferimento a dibattiti, eventi, fatti, teorie dal respiro internazionale, di qui la sua apertura e la sua cultura onnivora: una eccezione per gli standard italiani. Di qui la sua adesione al Gruppo ’63, “neo-avanguardia” a cui aderì forse più per il suo intento volto a svecchiare il mondo letterario italiano, a liquidare le esperienze – a loro dire – conformiste e venate di un ingenuo sentimentalismo degli scrittori che allora andavano per la maggiore, che per i suoi aspetti ideologici e politici, che caratterizzeranno invece altri suoi compagni di strada come Edoardo Sanguineti o Nanni Balestrini.
Un intellettuale insomma raro.

Arbasino gran lombardo, illuminista, cosmopolita, ma anche gran borghese. Figlio di un’agiata famiglia di professionisti di tradizione liberale, con il nonno presidente del partito liberale di Voghera, una legislatura in parlamento negli anni Ottanta con i repubblicani, amante di musica classica e opera come testimoniano quasi tutti i suoi libri ma soprattutto “Marescialle e libertini”. Borghesi, come ha insegnato Sergio Ricossa, non si è tanto però per nascita o per volontà di appartenenza ma piuttosto per aspetti caratteriali: «I tratti principali per riconoscere il borghese sono l’individualismo, lo spirito di indipendenza, l’anticonformismo, l’orgoglio e l’ambizione, la volontà di emergere, la tenacia, la voglia di competere, il senso critico, il gusto della vita. Sconfina nell’eccentrico…».
Tutto questo probabilmente era Arbasino.

Filippo Cavazzoni, 31 marzo 2020

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