Alitalia senza segreti

Non è vero che ha pagato prezzi maggiorati per il carburante rispetto ai diretti concorrenti

29 Maggio 2017

Milano Finanza

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Eccoli i numeri veri, non più frutto di stime e indiscrezioni, dai quali i tre commissari straordinari di Alitalia si trovano loro malgrado a ripartire. E che ora devono aggiustare per tentare di evitare lo spezzatino trovando un acquirente disposto a rilanciare la compagnia. Nel 2016 la perdita d’esercizio è stata di 408 milioni di euro, più del doppio rispetto a quella di 199 milioni di euro del 2015, e 10 volte superiore alle previsioni del vecchio piano congiunto con Etihad, che prevedeva un rosso contenuto a 44 milioni di euro. Il rapporto tra attivo circolante e debiti, questi ultimi vicini a quota 3 miliardi, è ormai di 1 a 2. La situazione patrimoniale più aggiornata ai primi tre mesi del 2017 riporta un patrimonio netto negativo per 111 milioni e un rapporto di 2 a 5 tra attività e passività correnti. Le perdite sono andate di pari passo, e a febbraio scorso avevano già raggiunto i 205 milioni. Su queste cifre, con un’espressione forse poco felice ma efficace, la sezione fallimentare del Tribunale di Civitavecchia ha constatato «il perdurare di una situazione di oggettiva impotenza economica di natura non transitoria».

Quello che Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari stanno mettendo a punto, non è pero un piano ai mera sopravvivenza. Ci sono i tagli ovviamente, per almeno 300 milioni, e il ricorso agli ammortizzatori sociali con la cassa integrazione straordinaria per circa 1.400 degli 11.762 dipendenti di Alitalia. Ma sono previste anche misure per riportare i ricavi sopra i 3 miliardi dai circa 2,9 di fine 2016, e altri interventi strutturali che chi dovesse subentrare alla guida della compagnia si ritroverà negli anni a venire. Questo è il caso, per esempio, dei contratti di leasing sugli aeromobili: dalla rinegoziazione dei canoni si potrebbero risparmiare circa 60 milioni l’anno.

Il costo del carburante, invece, sta rivelando qualche sorpresa. Vero è che Alitalia, come tutte le compagnie aeree, ha cercato di proteggersi dalle fluttuazioni del jet fuel bloccando il prezzo attraverso i cosiddetti contratti di hedging con poca fortuna. Ma non è vero che ha pagato prezzi maggiorati rispetto ai diretti concorrenti. Il confronto immediato è con la più temibile rivale, la low cost irlandese Ryanair. «Si parla molto spesso dei contratti di acquisto dei carburanti e degli errori che la gestione precedente aveva commesso, vista la copertura a 68 dollari al barile di jet fuel», spiega Andrea Giuricin, docente di economia del Trasporto aereo all’università Bicocca, che ha appena pubblicato il rapporto Alitalia dopo il bando, per l’istituto Bruno Leoni. «In realtà tutte le compagnie utilizzano strumenti finanziari per coprirsi dal rischio delle oscillazioni del prezzo del petrolio e negli ultimi anni gran parte dei vettori stava pagando il carburante a prezzi più elevati rispetto a quelli attuali. Per esempio, dal bilancio della low cost Ryanair, si evince che fino al 31 marzo di quest’anno, la compagnia ha pagato il carburante a circa 79 dollari, vale a dire a un prezzo ben superiore a quello di Alitalia». Almeno su questo, insomma, si può non gettare la croce sulle precedenti gestioni. La voce carburante, alle attuali quotazioni del greggio, consentirebbe comunque risparmi per circa 120 milioni. «Con la rinegoziazione dei contratti da parte dei Commissari, si potranno avere risparmi; tuttavia, i vantaggi competitivi saranno molto limitati nel tempo. Alitalia ha un problema enorme di ricavi, non facilmente risolvibile, e l’idea del commissario Gubitosi è proprio quella di espandere il network e incrementare la produttività della flotta e del personale», osserva ancora Giuricin. I commissari hanno confermato che l’orizzonte non è limitato ai quattro-cinque mesi che si sono dati per trovare il nuovo azionista, e che stanno lavorando addirittura alla stagione estiva 2018. A conferma della continuità operativa, proseguono anche gli accordi di code sharing: l’ultimo, annunciato nei giorni scorsi, riguarda Aerolineas Argentinas per aumentare i voli su Buenos Aires e raggiungere altre destinazioni del Sudamerica. Da settembre, Alitalia impiegherà su tre delle sette frequenze settimanali da Roma per la capitale argentina il Boeing 777-300ER, la nuova ammiraglia della compagnia da 382 posti, che garantiranno un incremento dell’offerta su questa rotta del 13%.

Ma la domanda che spazza via tutte le altre resta una: chi si farà avanti per Alitalia? Il 5 giugno saranno in parecchi, da Lufthansa ai fondi Cerberus, Indigo e Tpg, a depositare le manifestazioni d’interesse. Ci sarà persino Ryanair, che però ha dichiarato apertamente per bocca del ceo Michale O’Leary di voler solo dare un’occhiata, perché quello che le interessa sono le rotte, e non intende farsi bruciare sul tempo dalla concorrenza. Come Easyjet. Attenzione anche a Norwegian, che è pronta a prendersi una quota di mercato a Fiumicino. Il 31 maggio il fondatore e ceo, Bjarn Kjos, sarà a Roma proprio per i nuovi accordi con Adr, la società che gestisce gli scali romani. A sparigliare le carte, però, potrebbe essere la mossa di Etihad. Mentre i commissari stanno mettendo in vendita Alitalia, infatti, secondo indiscrezioni la compagnia emiratina avrebbe avviato la cessione del suo 29% di Air Berlin. Alle attuali quotazioni di mercato, vale appena 32 milioni ma rischia di distrarre qualche potenziale acquirente dalla partita Alitalia. A cominciare proprio da Lufthansa.

Da Milano Finanza, 27 Maggio 2017

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