Serve un'agenda economica, non solo guerre culturali

Identità e programmi: debito pubblico, inflazione e tensioni internazionali impongono scelte chiare

7 Luglio 2022

Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Destra e sinistra sono, letteralmente, espressioni geografiche. Si riferiscono al posizionamento di deputati e senatori nell’emiciclo. A riempirle di senso dovrebbero essere i partiti politici. Se non fanno questo mestiere, dire che siano «di destra» o «di sinistra» serve a poco.

Il secondo turno delle elezioni amministrative ha innescato una piccola tempesta. A uscirne ridimensionato è stato il «centrodestra» e soprattutto la Lega di Matteo Salvini. Il quale prima ha fatto un’analisi del voto alla Catalano (divisi si perde, uniti si sarebbe vinto) e poi ha cominciato ad agitarsi su droghe leggere e ius scholae. Salvini sembra pensare, giustamente, che partito e coalizione hanno bisogno di un’identità chiara, altrimenti i loro elettori restano a casa.

Quale deve essere il mastice di questa identità? I leader politici, come tutti, vorrebbero massimo risultato e minimo sforzo. L’opzione migliore, per loro, è combattere battaglie simboliche, che entusiasmano i loro seguaci senza implicare promesse delle quali poi rendere conto. Politica internazionale e temi «etico-identitari» conquistano l’immaginazione ma sono, in Italia, di fatto sottratti al controllo della classe politica. Il nostro cuore può battere per l’Ucraina o per la causa palestinese, però sappiamo benissimo che non solo il nostro voto, ma anche qualsiasi cosa dica o faccia il governo italiano, non può condizionare l’esito di tali vicende. Il più acceso nemico dell’immigrazione sa, in cuor suo, che nessuno può incidere davvero sulle dinamiche di lungo periodo dei flussi migratori.

Le guerre culturali hanno funzionato benissimo, sotto il profilo elettorale, negli anni della stagnazione economica. Quando l’Italia non cresceva e tutti ce ne lamentavamo, ma permanevano alcuni forti fattori di stabilità: per esempio l’euro che ha protetto i nostri risparmi dall’inflazione.

Le cose sono rapidamente cambiate. Lo scenario internazionale è sempre più incerto. Un debito esploso negli ultimi due anni costituisce un elemento di importante fragilità. Due generazioni stanno sperimentando per la prima volta prezzi che aumentano di mese in mese.

Nel 2011, i partiti che sostennero il governo Monti lo fecero in vista di un’equa ripartizione dei costi (in termini di consenso) delle riforme. Ai partiti che sostengono il governo Draghi era stata prospettata, invece, un’equa ripartizione dei benefici del Pnrr. Ciò era particolarmente congeniale a leader abituati al lessico della politica dell’identità: lasciare l’economia ai tecnici, nella ragionevole certezza che stavolta avessero lasciato a casa le forbici, per darsele di santa ragione su un altro campo di battaglia.

Ora che le famiglie si sentono colpite nel portafoglio e nei loro piani di vita, questo non può più bastare. Il centrodestra non può continuare a non avere, di fatto, un’agenda economica. Le questioni con cui si confrontano sono le stesse di sempre: liberismo/assistenzialismo, Nord/Sud (come ha ricordato Venanzio Postiglione lo scorso 28 giugno), sussidiarietà/solidarietà. Il Paese europeo nel quale i moderati stanno andando meglio è la Spagna, dove il PP è riuscito a espugnare una roccaforte socialista come l’Andalusia. Sarà un caso, ma i popolari hanno, su spesa e tasse, un messaggio chiaro, che forgia il loro essere «centrodestra».

Non è un problema nuovo ed è una questione di idee e di ceto politico assieme. Alzi la mano chi sa indicare chi sarebbero i ministri economici, o i «tecnici di area», in caso vincesse il centrodestra. L’assenza di persone segnala l’assenza di proposte.

Anni fa, ai tempi dei professori di Forza Italia, uno di questi chiese a Berlusconi, come editore, ospitalità per una serie di libri sul pensiero liberale. Si dice che il Cavaliere, in un momento di irritazione per una questua un po’ goffa, lo abbia accompagnato alla porta: «Ma faccio più io con cinque minuti in televisione che voi con tutti i vostri libri».

Nel breve termine, era sicuramente vero, ma lo è ancora nel lungo? I leader del centrodestra hanno senz’altro istinto e capacità politica, ma, a differenza di Berlusconi, non hanno alle spalle una storia personale che consenta loro di «incarnare» un’idea: quella del self made man venuto a raddrizzare un Paese claudicante. Magari è venuto il momento, per tutti, di ripartire da qualche libro.

dal Corriere della Sera, 7 luglio 2022

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