Addio Vittorio Mathieu, un intellettuale alla scoperta della modernità

Formatosi nello spiritualismo cattolico, ebbe sempre Kant come punto di riferimento. Anche nell'impegno politico

1 Ottobre 2020

Il Giornale

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

È morto ieri il filosofo Vittorio Mathieu. Nato a Varazze nel 1923, ha insegnato filosofia teoretica e morale e ricoprì incarichi prestigiosi, dal premio Balzan all’Unesco. Fu allievo di Augusto Guzzo, fondatore nel 1950 della rivista “Filosofia”. Alla scomparsa di Guzzo fu direttore con Marzio Pinottini di questa stessa rivista mantenendone ampiezza e linea di pensiero. A lungo collaboratore e commentatore per “il Giornale”, non disdegnò l’impegno in politica, candidandosi al Senato nel 1996 per Forza Italia. I funerali si svolgeranno venerdì alla Gran Madre di Torino.

Con la scomparsa di Vittorio Mathieu, che era nato a Varazze nel 1923, se ne va una delle figure più originali della cultura filosofica del nostro tempo: un uomo non soltanto di grande profondità, ma anche dotato di una curiosità intellettuale fuori dal comune. A lungo collaboratore di punta del Giornale, Mathieu ha offerto contributi intellettuali in numerose direzioni, mostrando sempre negli ambiti più diversi un’eccezionale capacità di analisi e riflessione.

Allievo di Augusto Guzzo all’università di Torino e formatosi entro uno spiritualismo cattolico focalizzato sulla questione della libertà dell’individuo, Mathieu ha insegnato la filosofia teoretica e quella morale, dando forse i suoi contributi teorici più originali nell’ambito dell’epistemologia, che egli ha sviluppato a partire da studi storici di primaria importanza su autori come Leibniz, Bergson e soprattutto Kant, che resterà per lui cruciale lungo tutta la sua esperienza di filosofo.

A dispetto di un carattere riservato, egli è stato comunque anche una figura pubblica in ragione dei suoi interessi per il diritto, per la politica, per l’economia. In testi ormai classici come “La speranza nella rivoluzione” (del 1972) e “Cancro dell’Occidente” (del 1983), in una fase storica che vedeva l’Italia dominata da ideologie totalitarie, Mathieu ha indagato con spirito libero la fragilità delle società di tradizione europea, dominate da una cultura in vario modo nichilista e sovversiva, che tende spesso a rifiutare la concretezza del reale in nome di falsi ideali e miti nutriti di violenza.

Un altro suo lavoro importante è “Perché punire”, che nel 1977 sviluppò una riflessione coraggiosissima sulla pena: cogliendo come proprio l’espiazione della colpa sia il modo migliore per prendere sul serio il reo, ritenendolo all’origine delle sue azioni. Un forte garantismo liberale, quindi, si univa in lui al rifiuto di quel sociologismo giuridico che tende a svuotare la vita e il diritto; sempre lucido e mai timoroso di andare controcorrente, egli sostenne anche la legittimità della pena di morte, affermando che oggi non si capisce né accetta la pena di morte perché, in generale, non si è più in grado di comprendere la pena stessa. E assieme a questo testo vanno lette le sue ricerche sul diritto naturale, che colse nelle sue luci e anche nelle sue ombre.

Pensatore raffinato, aveva molto a cuore la dimensione civile. Non a caso, quando la Prima repubblica crollò su se stessa, Mathieu ebbe anche una breve parentesi di militanza politica: e così fu tra i fondatori di Forza Italia e si candidò nel 1996 al Senato nel Torinese, senza però essere eletto.

Il suo impegno comunque non venne meno, dato che rappresentò a lungo una colonna portante della Fondazione Ideazione, uno tra i centri di elaborazione intellettuale più importanti dell’area del centro-destra.

La sua curiosità, a ogni modo, si dirigeva in molte e diverse direzioni. Ne è prova un volume intitolato “Filosofia del denaro”, in cui nel 1985 si misurò con i fondamenti teorici dell’economia, sviluppando un’analisi molto acuta anche della teoria di John M. Keynes, che sottopose a una critica spietata. Egli aveva perfettamente chiaro come alla base di questa o quella visione dello scambio, del capitale o dell’inflazione ci fossero questioni morali che interpellavano direttamente il filosofo, da un lato, e il comune cittadino, dall’altro.

A dimostrazione di una cultura sconfinata e dell’ammirevole capacità di connettere tra loro universi apparentemente distanti, Mathieu è stato anche autore di interessantissimi testi sulla musica: da “La voce, la musica, il demonico” (del 1984) a “Il nulla, la musica, la luce” (del 1996), dove la sua passione per quest’arte s’intreccia con una rara sensibilità teoretica: perché è chiaro che da Nietzsche ad Adorno, solo per fare due nomi, la musica ha sempre stimolato i pensatori, indotti ad andare ben oltre il semplice apprezzamento estetico. Con la sua morte, la cultura della libertà subisce una perdita davvero significativa.

Da Il Giornale, 1 ottobre 2020

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