La lettura che l’autore ne fa è davvero originale e molto interessante. In fondo quel referendum, quell’appuntamento dell’ 11 giugno 1995, è stato in gran parte dimenticato. Come tante cose da cui sembra dipendere il mondo e poi, dopo poco, appare del tutto normale che la realtà abbia preso una direzione diversa. Ma quel referendum, sostiene Mingardi, resta importante proprio per quel che è stato dimenticato.
Il referendum di cui il libro parla è quello sulla televisione commerciale. In fondo chi lo aveva convocato era quella stessa parte politica che si era opposta (un po’ per finta, a dire il vero) alla legge che regolava il settore, ovvero la Legge Mammi, approvata cinque anni prima, nel 1990. In gran parte era la sinistra, che pure si identificava non con le ponderose biblioteche ma con programmi televisivi della Rai. La campagna contro la legge e per la sua abrogazione era, in realtà, una campagna contro il possibile e incontrastabile dominio che le reti televisive consegnavano nelle mani di Berlusconi. Tanto era vero quell’obiettivo che quando si dimostrò falso il presupposto e Berlusconi vinse e perse le elezioni a fasi alterne, sempre nelle stesse condizioni, a nessuno venne più in mente di contesta e le interruzioni pubblicitarie. Con buona pace dei cineasti che si erano stracciati le vesti e in quel modo continuarono a finanziarsi.
Del resto, il fronte avverso si batteva per la libertà d’intrapresa, ma non aveva alcuna voglia di affrontare un vero scontro perla libertà di mercato. Tanto che andarono ripetutamente a governare e la Rai statale e lottizzata è ancora lì, uguale a sé stessa.
Nel ricostruire con puntualità tutta la storia, Mingardi dice che in quel giugno 1995 i veri protagonisti furono i cittadini, che votarono sulla base di un presupposto ragionevole e imbattibile: può darsi che esista un mondo ideale con una televisione splendida, ma ora. E qui ho più offerta televisiva di quanta ne avessi prima e non si vede perché dovrei rinunciarci. Banale? No, rivoluzionario. Magari si riuscisse a ragionare così su tutto, mandando a stendere chi ideologizza la realtà con cui non riesce a fare i conti.
Per forza che poi politici e giornalisti preferirono dimenticare in fretta, perché il risultato fu memorabile.