Francesco Ramella
Rassegna stampa
Se la mobilità sostenibile è nemica dell’ambiente
Incentivare i veicoli a basse emissioni potrebbe mettere a rischio introiti fiscali da investire contro le reali fonti di inquinamento
Negli scorsi giorni, il ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, ha presentato al Senato le linee programmatiche del suo dicastero. Il principale obiettivo dichiarato è la lotta ai cambiamenti climatici e il settore su cui viene focalizzata l'attenzione quello della mobilità. Ci si propone di rendere più stringenti i limiti per le emissioni di CO2 delle auto e di "perseguire tutte le azioni opportune" perché siano rispettati i limiti comunitari in materia di qualità dell'aria con particolare riferimento al PM10 e al biossido di azoto. Occorrerebbe pertanto "puntare sulla mobilità sostenibile" con incentivi all'acquisto di veicoli ibridi, elettrici e a "bassissime emissioni" e con investimenti per piste ciclabili e per l'ammodernamento delle ferrovie locali: i binari dovranno "rivestire nuovamente il ruolo di principale sistema di trasporto ad alta densità".

Le strategie delineate dal ministro sembrano essere immutate rispetto a quelle adottate dai precedenti esecutivi nazionali e da tutti gli enti territoriali. Ci riferiamo in particolare al cosiddetto riequilibrio modale, ossia la riduzione degli spostamenti in auto a favore di quelli che comportano un minore impatto ambientale. Si tratta di una politica inefficace, inefficiente, non equa e che comporta un doppio costo per la finanza pubblica: maggiore spesa da un lato e minori entrate fiscali dall'altro.

Perché inefficace? Perché la domanda complessiva soddisfatta dal mezzo individuale non ha (quasi) alcun legame con la qualità e la quantità di offerta di servizi di trasporto collettivo. Bus, metropolitane e treni rappresentano una valida alternativa all'auto solo per un segmento molto limitato della mobilità (anche se quello di gran lunga più visibile agli occhi dei decisori politici): si tratta degli spostamenti da e per le aree centrali delle maggiori aree urbane. All'infuori di tali zone, interessate da circa il 10% degli spostamenti a scala nazionale, i trasporti collettivi hanno un ruolo residuale e vengono utilizzati quasi esclusivamente da chi non ha la possibilità di condurre un mezzo proprio. In tutti i Paesi dell'Europa occidentale, compresi quelli dotati di un'offerta di mezzi pubblici urbani e di lunga percorrenza assai migliore rispetto a quella italiana, l'auto ha una quota di mercato che supera l'80%. L'Italia è, dopo il Portogallo e la Grecia, il Paese con il più basso livello di emissioni di CO2 pro-capite nel settore del trasporto stradale.

Anche qualora si volesse ulteriormente incrementare il livello di risorse pubbliche destinate ai trasporti collettivi già oggi fortemente sussidiati, la riduzione degli spostamenti in auto sarebbe "da prefisso telefonico": ad esempio, il raddoppio dell'attuale dotazione di linee di metropolitana porterebbe indicativamente a una diminuzione di circa 300mila viaggi in auto su un totale di 65 milioni effettuati ogni giorno.

Con riferimento all'inquinamento locale, alla irrilevanza quantitativa dello spostamento modale si va a sommare l'entità ormai ridottissima delle emissioni veicolari: un'auto che inizia a circolare oggi immette nell'aria una quantità di sostanze inquinanti che è pari a pochi punti percentuali di quella che usciva dagli scarichi di un veicolo di trenta anni fa. Dunque, poche auto in meno e pochissimo inquinanti. La conseguenza è che le politiche per la sostenibilità saranno in futuro ancor più irrilevanti che in passato. La qualità dell'aria nelle nostre città continuerà peraltro a migliorare grazie al ricambio del parco e, nell'arco di due o tre lustri, i limiti imposti dalla normativa europea saranno rispettati quasi ovunque in assenza di ulteriori provvedimenti volti a limitare l'uso del mezzo individuale.

Oltrechè inefficace, la politica di incentivazione (ri)proposta dal ministro Costa è altresì inefficiente e iniqua oltreché contraddittoria rispetto al principio del "chi inquina paga" cui lo stesso titolare del dicastero dell'Ambiente afferma di volersi attenere. La previsione di sussidi sposta infatti l'onere della riduzione dell'impatto ambientale da chi ne porta la responsabilità a chi lo subisce: chi è inquinato paga. Inoltre, sotto il profilo economico, il sussidio costituisce una politica non ottimale che, se supera il test dell'analisi costi e benefici di cui non vi è traccia nelle linee programmatiche, può essere giustificata solo qualora i costi ambientali non siano internalizzati. Ma, con limitate eccezioni, nel settore dei trasporti, a differenza di quanto accade in altri ambiti, questa condizione è già oggi verificata.

Il prelievo fiscale che grava sui carburanti in Italia e in Europa è tale per cui sono già internalizzate tutte le esternalità ambientali. In particolare, se consideriamo il problema dei cambiamenti climatici, quello più rilevante in una prospettiva di lungo periodo, scopriamo che l'attuale prelievo sulla benzina equivale a una carbon tax pari a circa 300 dollari per tonnellata di CO2 emessa mentre il valore ottimale della tassazione dovrebbe essere oggi pari a qualche decina di dollari e raggiungere i 100 dollari all'orizzonte del 2100. Questa condizione fa sì che riducendo il trasporto su gomma, lo Stato si priva di introiti fiscali grazie ai quali si potrebbero conseguire riduzioni di emissioni in altri ambiti di gran lunga superiori a quelle evitate. Può sembrare paradossale, ma una mobilità più sostenibile è "nemica" dell'ambiente.

da Il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2018