Nicola Rossi
Rassegna stampa
6 luglio 2021
Perdite e utili, quanto fa bene l’incrocio retroattivo
Consentire alle imprese di farsi rimborsare le tasse pagate su profitti passati a fronte della crisi attuale può dare fiato a molte situazioni difficili
Non era dunque una proposta campata per aria quella avanzata ormai tre anni fa su queste colonne. Non era irragionevole suggerire che - in una fase complicata come quella attuale - lo Stato potesse e dovesse preoccuparsi di rendere liquidi ed esigibili i crediti vantati dalle aziende nei confronti dello Stato stesso che ancora non lo fossero. A certificarlo è oggi una raccomandazione della Commissione Europea (2021/801 del 18 maggio scorso) che invita gli Stati membri che ancora non lo prevedano a consentire il cosiddetto loss carry back. In altre parole a permettere che le imprese che registrino una perdita (e, di conseguenza, che riportino in bilancio imposte anticipate) possano compensarla non solo con utili futuri (come già oggi accade in Italia) ma anche con utili realizzati in esercizi precedenti (come accade, ad esempio, in Francia, in Germania, in Irlanda e in Olanda ma anche, in ambito non Ue, nel Regno Unito), il che consentirebbe alle imprese stesse di chiedere il rimborso delle imposte a suo tempo pagate su quegli utili.

La ratio della raccomandazione è fin troppo evidente. Le imprese - in particolare le Pmi - usciranno dalla emergenza pandemica sperimentando un significativo incremento dell’indebitamento. In questo contesto, consentire alle imprese di riportare le perdite registrate oggi in avanti (e cioè nel momento in cui si torneranno a vedere gli utili) significa sostenerne la liquidità quando probabilmente le imprese stesse non ne avranno bisogno. Il riporto all’indietro (e cioè la compensazione fra le perdite registrate oggi e gli utili osservati in passato) e il conseguente diritto al rimborso fiscale offre invece un supporto in termini di liquidità nel momento in cui l’impresa ne ha più bisogno.

Il tema, evidentemente, non è sfuggito al governo italiano che, nel definire i contorni della cosiddetta «Ace rafforzata» - una misura che premia la patrimonializzazione delle imprese concedendo loro un significativo incentivo tributario - ha previsto che il premio fiscale concesso alle imprese possa prendere anche la forma del credito d’imposta (e possa quindi essere suscettibile di rimborso o di compensazione). Una scelta comprensibile anche alla luce del fatto che la platea di imprese che pensa di attuare una strategia di patrimonializzazione è ancora piuttosto ridotta (circa il 10% secondo l’indagine Invind citata nella Relazione annuale della Banca d’Italia).

Una scelta, però, che non risponde ad una semplice domanda: nei casi in cui un credito dell’impresa - connesso alle perdite pregresse - esiste già, perché mai non renderlo liquido ed esigibile? Il loss carry back raccomandato dalla Commissione europea è una possibilità. Un’altra possibilità è invece quella di consentire che l’equivalente Ires (e cioè il 24%) delle perdite fiscali già presenti in bilancio o che maturino negli esercizi 2020 e 2021 venga utilizzato per saldare tutte le posizioni (fiscali, contributive, ecc.) già in essere con il Fisco o che maturino nello stesso biennio. Che non si tratti di un condono, dovrebbe essere ovvio, trattandosi di un puro e semplice anticipo temporale di una perdita di gettito. Si tratterebbe piuttosto di una compensazione «rafforzata» mirata ad alleggerire i bilanci aziendali (e le scrivanie dell’amministrazione finanziaria) e a restituire liquidità e libertà di movimento alle imprese.

Certo, dal punto di vista del bilancio dello Stato debiti incerti nell’entità e nella scadenza diverrebbero invece certi ed esigibili. Ma, se le prospettive economiche del Paese sono quelle che ogni giorno ci sentiamo raccontare, è evidente che si tratterebbe di debiti da onorare comunque e per intero nel momento in cui le imprese oggi in perdita (o che perdite avessero registrate nei difficili anni Dieci del secolo) tornassero a vedere l’utile. Ragionevolmente, dovrebbe essere previsto un tetto a questa possibilità di compensazione (la Commissione suggerisce 3 milioni di euro). E se proprio si vogliono premiare comportamenti ritenuti meritevoli, nulla vieta che il tetto venga fissato in relazione alla entità della ripatrimonializzazione prevista dall’impresa. Il che darebbe ancora più valore all’«ace rafforzata».

Si obbietterà che finiremmo così per dare una mano - se rendere liquido ed esigibile un debito può essere considerato tale - a realtà imprenditoriali non necessariamente sane, alla luce delle perdite registrate in anni più lontani oltre che a causa della pandemia. Talché la Commissione suggerisce che il loss carry back venga riservato alle imprese in utile nel triennio immediatamente precedente il 2020 (ipotesi che si scontrerebbe con ovvie difficoltà applicative: come tenere infatti nel dovuto conto inevitabili eventi specifici nella vita aziendale? come comportarsi con le startup?).

In realtà questa considerazione non tiene nel dovuto conto il fatto che negli ultimi tredici anni le aziende italiane hanno subito una crisi finanziaria globale, la crisi dei debiti sovrani e per ultima l’emergenza sanitaria. La percentuale di imprese in utile era, nel quinquennio precedente la Grande Recessione, pari al 64,7%. In otto dei successivi tredici anni - ed in particolare fra il 2008 ed il 2014 - è risultata inferiore a quel valore. Difficile non vedere come in un periodo fra i più difficili della storia del Paese, il fisco abbia finito per sottrarre, congelandole, risorse significative ai comparti produttivi, contribuendo ad indebolirli. Con buona pace del criterio costituzionale della capacità contributiva. Forse è ora di riparare questa stortura.

da L'Economia - Corriere della Sera, 5 luglio 2021