Nicola Rossi
Rassegna stampa
6 aprile 2020
L’Europa è cattiva?
Il debito (vecchio) fa la differenza ma la cornice è sbagliata
Lo choc è comune, i punti di partenza sono assai diversi. E le risposte fin qui arrivate contemplano la sospensione del patto di stabilità, il bazooka della Bce e misure di pronto intervento. Resta il problema del dopo

Abbiamo imparato a distinguere l'epidemia dalla pandemia. Abbiamo capito la differenza che corre fra ospedalizzati e contagiati. Sintomatici e asintomatici. Ancora non abbiamo capito se possono esserci anche sintomatici non contagiati mentre ci è ormai chiarissimo che i non contagiati asintomatici sono, in questo momento storico, un po' ai margini della società.

Potrebbe essere utile, a questo punto, provare a dedicare qualche minuto della nostra attenzione ad altri concetti – più strettamente economici – non altrettanto importanti ma forse non trascurabili. Nell'intervista rilasciata martedì 31 marzo all'emittente televisiva Ard, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato chiarissimo: la crisi provocata dalla pandemia di coronavirus è uno choc simmetrico, che coinvolge tutti gli stati membri dell'Unione europea. Per tale motivo, non si può ricorrere al Meccanismo europeo di stabilità (Mes, o Fondo Salva Stati). E di conseguenza sbaglia chi – l'Olanda, la Germania, la Finlandia – pensa che sia quello lo strumento da utilizzare in questo momento con annessi e connessi (e cioè con le condizioni che solitamente accompagnano i prestiti erogati dal Mes che in Italia vengono sbrigativamente etichettate come «un commissariamento»).

L'asimmetria
È proprio così? Uno choc è niente altro che un evento, per lo più non anticipato, che dall'esterno colpisce ed influenza le principali variabili del sistema economico. E che il Covid-19 sia uno choc sembra proprio difficile negarlo.

Ma che tipo di choc? La domanda, ovviamente, non è oziosa perché – come è chiaro dall'affermazione del presidente del Consiglio – a choc diversi si risponde con strumenti diversi. Certo non si tratta di uno choc locale ma, visibilmente, di uno choc comune. Che colpisce tutti i paesi senza fare eccezioni.

Ma uno choc comune non è necessariamente uno choc simmetrico o, in altre parole, con impatto comparabile fra paesi. Lo sarebbe se i diversi paesi colpiti avessero condizioni iniziali o strutture economiche e sociali simili. Se così non fosse dovremmo parlare di choc comune ma asimmetrico (almeno nelle conseguenze).

La differenza non è di poco conto. Choc comuni e simmetrici non richiedono che si mettano in campo strumenti assicurativi in grado di trasferire all'occorrenza risorse fra Stati (lo ha spiegato bene Tommaso Monacelli in «Tre opzioni per sostenere l'economia» sul sito lavoce.info) e i coronabond cui il governo italiano sembrerebbe aver sacrificato ogni altra possibilità fanno esattamente questo. Consentono allo Stato italiano di indebitarsi a tassi più bassi di quelli che altrimenti non sarebbero possibili (e viceversa per altri Stati) con ciò implicitamente trasferendo risorse all'interno dell'area dell’euro e verso l'Italia.

In questo i coronabond non sarebbero poi così diversi dal Mes che consentirebbe, ancora una volta, all'Italia di indebitarsi a condizioni più vantaggiose soprattutto se accettasse una qualche condizionalità. Quindi, l'argomento del presidente del Consiglio vacilla: se lo choc è simmetrico i coronabond non sono la soluzione adeguata.

Il punto è che, in realtà, lo choc che le economie dell'area dell'euro stanno subendo è comune ma non è simmetrico perché diverse sono le condizioni iniziali delle diverse economie. Tralasciamo quegli elementi su cui ancora sappiamo forse troppo poco (perché tanti morti in Italia e Spagna?). Rimaniamo in campo economico. Dei 9 paesi firmatari della lettera di cui l'Italia si è fatta promotrice e con cui si chiedeva l'attivazione dei coronabond, solo 3 presentano livelli di debito pubblico in rapporto al prodotto inferiori alla media Ue (80% nel 2019, post-Brexit): Slovenia, Irlanda e Lussemburgo. Gli altri sei sono al di sopra di quella media e, per la precisione, i loro debiti pubblici sono pari a due terzi del debito pubblico dell'intera Unione. Dei paesi non firmatari, solo uno (Cipro) ha un livello di debito in rapporto al prodotto superiore alla media.

La contrapposizione fra Europa del Nord ed Europa del Sud semplicemente non esiste. Esiste – questa sì – la contrapposizione fra Stati membri molto indebitati e Stati membri poco indebitati. I primi – a causa delle loro pregresse politiche di bilancio – hanno uno spazio fiscale limitato e sono quindi meno (o molto meno) in grado di affrontare lo choc dei secondi. Nel loro caso è quindi lecito immaginare che lo choc avrà un impatto assai più significativo in termini di contrazione dei livelli di attività, di livelli di disoccupazione e di durata della crisi. Condizioni iniziali diverse fanno sì che uno choc comune possa trasformarsi in uno choc asimmetrico. Ciò a sua volta potrebbe giustificare la possibilità di trasferimenti interni all'Unione. Esattamente ciò che è previsto dal Meccanismo europeo di stabilità nella sua attuale configurazione. La cui condizionalità, in questo caso, mirerebbe proprio a modificare quelle condizioni iniziali.

Eurobond, alla fine
La Cancelliera tedesca potrebbe quindi aver ragione e con lei il premier olandese. Il nostro governo potrebbe, invece, aver preso un abbaglio. Quel che più rileva è che, in questo contesto, la risposta dell'Europa è stata e si sta rivelando ogni giorno di più adeguata e corretta. Attivazione della clausola di emergenza del Patto di stabilità per consentire il ricorso al debito, interventi massicci da parte della Bce per garantire la tenuta di singoli paesi più a rischio e dell'intera area dell'euro, strumenti di pronto intervento per gli Stati membri che ne avessero bisogno (una eventualità quest'ultima tutt'altro che remota visto che negli ultimi dieci anni il mondo non ha fatto altro che sommare debiti a debiti). Se a questo si aggiungesse un intervento comunitario in tema di ammortizzatori sociali, l'Europa avrebbe fatto anche più di quanto la sua attuale stringente struttura istituzionale consentirebbe. E l'Italia farebbe bene a prenderne rapidamente atto.

Certo, rimane il tema del dopo, che non potrebbe che essere affrontato rimuovendo in tempi molto stretti alcuni vincoli istituzionali in essere. Completamento dell'unione monetaria e adeguamento della dimensione del bilancio comunitario ai compiti che l'Europa si è data e si darà, sono le priorità. Ho l'impressione che, se si ha a cuore l'Europa, si debba partire dalla constatazione che gli eurobond possono essere la conclusione di un percorso e non il suo inizio. Un percorso condiviso e segnato dalla legittimazione democratica.

da L'Economia - Corriere della Sera, 6 aprile 2020