Nicola Rossi
Rassegna stampa
30 novembre 2020
Il paradosso dello Stato che si "autoristora"
I maggiori costi tipici di soluzioni inefficienti li sopportiamo sempre e comunque noi
Nuovi debiti per indennizzare, giustamente, le attività sospese, a cui però chiede di versare, sia pure a rate, tasse e contributi. Un'inutile partita di giro...
I disegni della Provvidenza sono imperscrutabili. Ma anche quelli del governo non scherzano. Possiamo solo sforzarci dì intuirne i contorni, ma in molti casi è veramente difficile afferrarne il senso. I ristori, per fare solo un esempio.
In linea di principio come disapprovarli? Come prendere le distanze dal tentativo di indennizzare i privati per le conseguenze che gli stessi sopportano in conseguenza di scelte collettive? Ma, detto questo, a quale intelligenza dobbiamo i ristori così come li conosciamo?
Ci spieghiamo meglio. Consideriamo il caso dei pubblici esercizi. Di un bar, per semplicità. E, supponiamo che il nostro bar vantasse nel 2019 un fatturato di 100 mila euro e supponiamo che non registrasse gli ovvi su e giù mensili e che quindi mese dopo mese il nostro barista incassasse poco più di 8 mila euro. Supponendo ora che, con il lockdown, il nostro bar non abbia venduto nemmeno un caffè ad aprile, ciò implica che nel maggio scorso sul conto corrente del barista dovrebbero essere arrivati mille e settecento euro (il 20% della caduta di fatturato del mese di aprile). Ad essi bisognerebbe aggiungere i ristori deliberati recentemente dal governo e pari in questo caso al 400% di quelli già erogati in maggio (e cioè circa 6.600 euro). Fra maggio e novembre, il nostro barista avrebbe quindi recuperato per intero la caduta di fatturato registrata in aprile. Molto bene. Ma come la mettiamo con il resto dell'anno?
Per l'intero 2020 le principali organizzazioni di categoria si attendono che il fatturato dei pubblici esercizi si riduca del 33% circa. Nel nostro esempio parliamo di 33 mila euro di cui, attraverso il meccanismo dei ristori, il nostro barista recupererebbe poco più di 8 mila euro e cioè il 25% circa. E poco? È molto?
Non è questo il punto: quel 25% è probabilmente tutto ciò che il paese poteva e può permettersi dato lo stato pericolante delle finanze pubbliche (che, finché dura, facciamo allegramente finta di non vedere).
Supponiamo che il nostro bar vantasse nel 2019 un margine operativo pari al 33% (per comodità, ma non dovremmo essere poi così lontani dal vero) e supponiamo che si sia azzerato nel 2020 e quindi che i 67 mila euro di ricavo siano andati a coprire i costi (e, di conseguenza, che l'impresa sia andata in perdita per via degli ammortamenti e degli oneri per interessi), un ristoro complessivo pari ad 8 mila euro o poco più sarebbe anche qui a spanne non lontano da quanto l'impresa avrebbe dovuto e dovrà pagare nel 2020 per contributi, ritenute da lavoro dipendente ed imposte, locali o centrali, non legate agli utili (da pagare, nella migliore delle ipotesi, per il 50% entro l'anno e per il resto a rate). Il reddito del nostro barista sarà comunque nullo.
Ovviamente si tratta di un caso ipersemplificato e certamente parziale. Trascura, ad esempio, il bonus affitti o, per altro verso, considera la situazione corrispondente al massimo ristoro possibile. Ma la sostanza è semplice. Lo Stato prende soldi a prestito (che il creditore sia la Bce non cambia la sostanza) per «ristorare» il nostro barista al quale chiede ovviamente di pagare quanto dovuto allo Stato stesso e nei termini previsti o quasi. Tradotto: prende soldi a prestito per pagare indirettamente se stesso. Si «autoristora».
Sarebbe veramente istruttivo se qualcuno ci spiegasse perché mai - dovendosi, per ovvie esigenze di finanza pubblica, contenere i ristori al minimo indispensabile - non si è scelto di far sì che lo Stato si indebitasse per far fronte al minor gettito derivante, puramente e semplicemente, dalla cancellazione di contributi, ritenute, imposte e tasse nei limiti consentiti dal bilancio. In altre parole, che cosa fa sì che, avendo finalmente deciso di prendere la strada della semplicità, lo Stato abbia adottato ed ancora adotti invariabilmente la soluzione più complicata e chieda all'Agenzia delle Entrate di versarci le risorse necessarie per poi restituirle quanto le dobbiamo?
Il tutto con alcune interessanti implicazioni che, se non fossero serie, sarebbero molto divertenti. Ad esempio, l'attuale meccanismo dei ristori sembra fatto apposta per chi decide di non pagare imposte e contributi. Con una mano si incassa e con l'altra si fa il gesto dell'ombrello. Poi si vedrà. La risposta è probabilmente semplice: la politica soprattutto quella debole e incerta dei giorni nostri non si pone questioni di efficienza, poco le interessano i maggiori costi impliciti in soluzioni poco funzionali, è troppo indaffarata in altre questioni per preoccuparsi di far andare la macchina al meglio. Non lo ha mai fatto e non le interessa. Si nutre di quelle che pensa essere le percezioni altrui e pensa - forse a ragione - che vedersi arrivare qualche migliaio di euro sul conto corrente ci gratifichi assai più che non sapere di poter non pagare questa o quella scadenza fiscale o contributiva.
Del resto far funzionare la macchina al meglio ogni santo giorno - che poi è quello che la gran parte di noi cerca di fare - oltre che noioso è anche terribilmente faticoso. È infinitamente più gratificante occupare lo schermo o i social e lasciarsi andare a proposte che ormai non si sentono più anche nei bar (tipo la cancellazione del debito). O anche escogitare giorno dopo giorno modalità sempre nuove di estendere il campo di azione della politica, ampliare le sue competenze, aggiungere nuovi compiti e mansioni.
Naturalmente nessuno ci spiega che i maggiori costi tipici di soluzioni inefficienti li sopportiamo sempre e comunque noi. E che di queste quotidiane piccole e grandi inefficienze alla lunga forse non si muore (ma di questi tempi anche questo non è ovvio) ma certamente si vive sempre più stentatamente. E con rabbia.
da L'Economia - Corriere della Sera, 30 novembre 2020