Un'economia teleguidata dalla burocrazia e dalla politica finisce per svantaggiare l'intera società
Solo pochi esegeti ricordano un libro del 1878 "La rivoluzione nella scienza di Herr Eugen Düring", più semplicemente conosciuto come "Anti-Düring", scritto da Friedrich Engels mentre il suo amico Karl Marx era immerso nella stesura di “Das Kapital”. Il co-autore del Manifesto del Partito Comunista se la prendeva causticamente con un oscuro professore socialista che pretendeva di ribaltare le leggi scientifiche del marxismo. Un po' come aveva fatto Giulio Cesare, il quale, sebbene impegnato a debellare gli ultimi pompeiani in Spagna, nel 45 a.C. compose l'ironico "Anti-Cato", in risposta a due papielli vergati da Cicerone e Bruto in cui si lodava la nobile figura di Catone l'Uticense, fiero avversario di Cesare suicidatosi appunto ad Utica.
Il genere letterario rivive oggi stimolato dall'opera di un'odierna Eugen Düring, la professoressa Mariana Mazzucato, che ha ispirato Alberto Mingardi, accademico e direttore dell'Istituto Bruno Leoni, e Deirdre McCloskey, una poliedrica studiosa che insegna economia, storia e filosofia all'università, a scrivere "
The Myth of the Entrepreneurial State", riprendendo il titolo del libro che ha reso nota Mazzucato "The Entrepreneurial State", lo Stato imprenditore.
Ovviamente la coppia Mingardi-McCloskey non si dedica solo alla docente italiana, prendendo di mira tutto quel filone di pensiero che vive nella pericolosa illusione che ad un mercato imperfetto e ai suoi "fallimenti" si contrapponga uno Stato perfetto, guidato da politici e burocrati, non solo illuminati ma anche disinteressati, che a tali insuccessi possono rimediare. Anzi, nella visione di Mazzucato il Leviatano moderno dovrebbe fare di più: essere proattivo, intervenendo anche quando non ci sono fallimenti del mercato o presunti tali per far germogliare l'innovazione e pianificare la direzione che l'economia deve prendere (una specie di Gosplan 4.0). Niente di nuovo tutto sommato.
Tuttavia, i due autori si caricano sulle spalle il compito non solo di dimostrare l'inaccuratezza delle specifiche tesi dell'economista italiana, ma più in generale di illustrare le ragioni per le quali un'economia teleguidata da una burocrazia e dalla politica finisce per svantaggiare l'intera società.
Il primo pilastro dello statalismo consiste nell'assumere che gli esseri umani sono dei bambocci incapaci di prendere decisioni. Il premio Nobel Thaler ha contato ben 257 pregiudizi (
bias cognitivi) di cui tutti noi saremmo vittime. Il secondo assunto è nel considerare i mercati talmente imperfetti da non potere rimediare a questi preconcetti. La soluzione consisterebbe nell'affidarsi allo Stato che, pur operando attraverso esseri umani, non soffrirebbe di alcun pregiudizio. Una conclusione piuttosto illogica.
In realtà, nel corso dei secoli, l'innovazione ha funzionato dal basso verso l'alto e non viceversa. Sono state le istituzioni politiche liberali che dalla fine del XVIII secolo hanno consentito all'innovazione di esercitare la sua funzione di distruzione creatrice e, come ammetteva lo stesso Keynes, "l'inettitudine dei pubblici amministratori ha fortemente influenzato il pregiudizio del
practical man in favore del laissez-faire" e il "progresso materiale tra il 1750 e il 1850 è derivato dall'iniziativa individuale e non è dovuto quasi in niente alle direttive" dello Stato.
E anche questa è una verità parziale, perché quello che Mingardi e McCloskey chiamano "Il Grande Arricchimento", che in due secoli ha portato il reddito medio a moltiplicarsi di 30 volte, già nel 1937 aveva sradicato la povertà in Gran Bretagna, prima delle politiche Keynesiane. Poi, ovviamente, se il governo spende miliardi e miliardi di dollari in ricerca, sarebbe del tutto improbabile che non ne venga mai fuori qualcosa di buono, se non altro per caso. Ma gli esempi fatti da Mazzucato riguardano o la difesa o non sono azzeccati (le ferrovie erano una vera "innovazione" quando erano private, non quando furono statalizzate).
La domanda che bisogna porsi è se sono meglio spesi in termini di risultati i quattrini profusi dal governo, con il carico di asimmetria informativa, favoritismi politici, lentezza, autopreservazione delle burocrazie, o quelli rischiati dai privati. E nei giorni in cui si accende la speranza per un vaccino che ci protegga dal Covid, è bene ricordare che persino i sussidi che il governo tedesco ha concesso a BioNTech (Pfizer li ha rifiutati per "non avere la burocrazia tra i piedi") sono andati a rimorchio dell'innovazione, non l'hanno creata.
Peraltro, per legare la saggistica alla letteratura, possiamo consigliare anche l'ultimo romanzo del bravissimo scrittore inglese Robert Harris, "V2", un esempio sublime di innovazione interamente statale. Progettato per ribaltare le sorti della guerra, lo sviluppo del missile costò alla Germania più di quanto gli Stati Uniti spesero per il progetto Manhattan; le bombe volanti uccisero circa 4.500 persone al prezzo di 12.000 operai-schiavi-operai morti per costruirle, senza influire minimamente sulle operazioni belliche. Ogni V2 costò da 2 a 4 volte il Me-262, l'aereo a reazione tedesco degli ultimi anni di guerra che per ogni esemplare perduto abbatteva in media 5 velivoli nemici. Non un grande affare per il Reich, fortunatamente, ed in più non ogni progetto di "innovazione" statale può contare su Wernher von Braun come ingegnere-capo.
Da
Affari & Finanza – la Repubblica, 30 novembre 2020