Raimondo Cubeddu
10 febbraio 2023
Bruno Leoni prima di Aldo Canovari
Un ricordo di Aldo Canovari (1946-2023) e del suo impegno per rinnovare il liberalismo italiano
Si è spento pochi giorni fa, a Macerata, Aldo Canovari, fondatore e animatore della casa editrice Liberilibri, che dal 1986 ha esercitato un ruolo di primo piano all’interno della cultura liberale del nostro paese, pubblicando testi e autori che hanno saputo declinare i principi della società aperta e della libertà individuale in maniera originale e rigorosa. Fra i tanti meriti di Canovari e di Liberilibri, anche quello di avere “riscoperto” Bruno Leoni, grazie alla traduzione italiana di Freedom and the Law, avvenuta nel 1995, a 34 anni dalla sua prima pubblicazione in lingua inglese. Proprio su questa operazione culturale ha scritto Raimondo Cubeddu - autore tra l’altro dell’Introduzione all’edizione Liberilibri di La libertà e la legge - all’interno del libro Il carattere della libertà. Saggi in onore di Aldo Canovari, edito da IBL Libri nel 2016. Riproponiamo di seguito il saggio di Cubeddu.

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La verità, talora, è facile da riconoscere. Prima che nel 1992 Aldo Canovari avesse l’idea di far tradurre e di pubblicare Freedom and the Law, Bruno Leoni era un pensatore, come si suol dire, “di nicchia”. Una nicchia tanto minuta da essere quasi invisibile e che i generosi tentativi di Pasquale Scaramozzino e di Mario Stoppino di tenere in vita la memoria del loro Maestro non avevano allargato.

Con chiare motivazioni ideali e culturali, l’attività di Liberilibri era iniziata dal 1986, ed è probabile che l’incontro con Leoni sia avvenuto leggendo quella che è stata una fonte di ispirazione della casa editrice maceratese: il ricco ed elegante catalogo del Liberty Fund che proponeva gli autori e le problematiche di un liberalismo da noi noto allora a pochi.

Non so se Aldo avesse già una qualche conoscenza di questo pensatore dal nome prettamente italiano il quale nel 1961 aveva scritto in inglese un libro che il catalogo del Liberty Fund – ripubblicandolo nel 1991,[1] con una Foreword di Arthur Kemp e l’aggiunta di quattro importanti saggi (fra i quali The Law as Individual Claim) – presentava come un sempre attuale “masterpiece!” dato che trattava del pericolo che la overlegislation rappresenta per la teoria politica e giuridica liberale.

Comunque sia stato, dato che si trattava del primo italiano ad apparire in quel prestigioso catalogo, la sua curiosità lo portò forse a chiedersi chi fosse Bruno Leoni o ad approfondire la sua conoscenza. Per conto mio, la lettura di quel catalogo mi consentì di soddisfare una curiosità pressante perché inappagata (dato che la prima edizione di Freedom and the Law era introvabile sul mercato e che la copia nella biblioteca della mia università era “sparita”).

Ricordo di aver immediatamente ordinato il libro e, una volta lettolo, di averne fatto una breve recensione.[2] La mia curiosità per Leoni, nata da una conversazione con Giuseppe Are (dal quale avevo appreso anche che era di origini sarde, ciò che ovviamente ebbe l’effetto di accrescere il mio interesse e la mia simpatia), era dovuta al fatto che sognavo una rinascita o una rifondazione del liberalismo italiano e la sua uscita da un’impasse avvilente ammantata di nostalgia per una vecchia gloria in realtà mai esistita.

Tale interesse si era rafforzato quando la rivista «Il Pensiero Politico» mi aveva passato per recensirlo[3] il volume di saggi di Leoni curato da Stoppino: Leoni, B., Scritti di scienza politica e teoria del diritto.[4] Il bel saggio introduttivo di Stoppino, L’individualismo integrale di Bruno Leoni, mi fornì molte informazioni, mi chiarì tante idee e rafforzò quella che, insieme a James M. Buchanan, Milton Friedman, Friedrich A. von Hayek, Ludwig von Mises e Karl R. Popper, dei quali iniziavo ad interessarmi, Leoni sarebbe potuto essere l’autore giusto per scuotere l’italico liberalismo dal torpore intellettuale in cui l’aveva precipitato l’esaurirsi della nefasta ed inconcludente controversia Croce-Einaudi su liberalismo e liberismo. Iniziai una corrispondenza con Stoppino, una collaborazione con «Il Politico», e venni così a conoscenza di quanto era stato fatto per mantenere viva la memoria di Leoni ed anche che di Freedom and the Law si era posta mano una traduzione (ma mai ho saputo da chi anche se credo di averne il dattiloscritto).

Nonostante le iniziative pavesi, di Leoni sopravviveva un flebile ricordo legato più alle circostanze della sua tragica scomparsa che al suo pensiero e alle sue opere. Basti dire che appresi soltanto nel 1992, da Antonio Martino, che era stato presidente della Mont Pelerin Society e che nel mio libro Il liberalismo della Scuola Austriaca, del 1992, Leoni non viene neanche citato e rammentato appena in The Philosophy of the Austrian School, del 1993. Non avevo ancora capito che poteva essere considerato come un esponente, e non secondario, della Scuola Austriaca, anche se avevo capito che Freedom and the Law è da annoverare tra quelle opere che segnano la rinascita del liberalismo classico.[5]

Ricordo che nella nostra prima telefonata Aldo mi disse di aver avuto il mio nome da Scaramozzino, il direttore della rivista «Il Politico», fondata nel 1950 da Leoni. Ho quindi motivo di pensare che la sua prima fonte per entrare nel “mondo di Leoni” sia stato il compianto Pasquale e che Aldo si sia rivolto a me soltanto perché Pasquale gli aveva detto che nel 1992, su sua richiesta e per ricordare (insieme ad Angelo Maria Petroni) uno dei più prestigiosi collaboratori della rivista, avevo scritto e pubblicato su «Il Politico» un saggio dal titolo Friedrich A. von Hayek e Bruno Leoni.[6]

Debbo dire che molti colleghi della mia generazione mi chiesero chi fosse Leoni e che qualche collega più anziano, che lo aveva conosciuto, mi scrisse ringraziandomi per averlo fatto riaffiorare anche dai suoi ricordi. Per i più Leoni era un nome che non diceva nulla, o che era stato rimosso.

La proposta di Canovari di curare la traduzione italiana di Freedom and the Law mi entusiasmò. Anche perché trovai subito consonanza col progetto culturale di Liberilibri e perché Aldo, già per telefono, mi fece un’impressione più che favorevole. Mi accorsi che si trattava di un gentiluomo già prima di conoscerlo personalmente.

Per via dei suoi molteplici interessi culturali e scientifici,[7] tra i quali quello per l’economia,[8] Leoni più che un filosofo del diritto, o un filosofo politico in senso proprio, fu un filosofo delle scienze sociali. E questo ai suoi tempi non ne favorì la comprensione, poiché la vastità dei suoi interessi talora prendeva la forma di scritti brevi e (bisogna ammetterlo) spesso frettolosi, difficili da collocare accademicamente perché difficili da capire, anche perché facevano riferimento a pensatori, a problematiche e a discussioni che molti dei suoi colleghi semplicemente ignoravano o dei quali, nella loro dimensione italo-centrica, non riuscivano a cogliere l’importanza e l’originalità. Senza dire poi che nel clima culturale e politico dell’Italia di quegli anni, in cui si tendeva a pensare che il solo e vero “diritto” fosse quello di produzione legislativa, la sua intransigente difesa del Common Law, del Rule of Law e del diritto di proprietà (che ne fa uno dei precursori di quella che oggi viene chiamata Property Rights Theory) e della “produzione giurisprudenziale del diritto”,[9] lo rendeva pressoché un isolato.

Un oblio, dunque, a cui cercarono di sottrarlo i suoi pochi (perché quella di far sopravvivere le proprie idee tramite gli allievi, un’attività a cui da sempre va l’inesausta vanità degli accademici, per vari motivi non gli era congeniale) allievi e antichi studenti, come Francesco Forte,[10] che ne conservarono la memoria. Tra questi non deve essere dimenticato Scaramozzino (a lungo professore di statistica e preside nella facoltà di Scienze politiche pavese) il quale alla morte di Leoni assunse la direzione della rivista «Il Politico» (in cui, insieme ad altri studenti, fu coinvolto fin dalla fondazione come correttore di bozze, “arte” in cui raggiunse livelli “leggendari”), conservandone l’ispirazione, l’apertura interdisciplinare, gli interessi e molti dei collaboratori che Leoni aveva raccolto nei suoi giri per il mondo.[11]

In un numero speciale dei Quaderni della Rivista, nel 1969, «Il Politico» ospitò un Omaggio a Bruno Leoni,[12] e negli anni ha pubblicato le rendicontazioni di eventi legati alla sua memoria e alla ripubblicazione delle sue opere.[13]

Il rinnovato ed esteso interesse nei confronti di Leoni nasce in Italia in un momento di profonde trasformazioni politiche e si inserisce nella rinascita del pensiero liberale dovuta anche alle iniziative editoriali e giornalistiche della “Scuola Austro-Romana” e alla ricerca di una rifondazione del liberalismo italiano che portò anche studiosi formatisi nell’alveo del crocianesimo ad interessarsi, o a confrontarsi (talora criticamente), con Buchanan, Friedman, Hayek, Mises, Popper, etc. Ma è anche vero che la riscoperta di Leoni avvenne dopo e sulla scia della ripubblicazione – precedente ed indipendente dalle vicende italiane in questione – del suo capolavoro e dei suoi saggi più significativi ed innovativi.[14]

Ma, e ne sono sicuro, se non ci fosse stato Aldo, chissà quanto si sarebbe dovuto ancora attendere. Fu sua l’idea di tradurre Freedom and the Law, idea che generò un interesse per la figura di Leoni che contagiò anche altri editori, e in modo particolare Rubbettino.[15] Io collaborai con entusiasmo; ma il merito della cosiddetta “Leoni Renaissance” è suo e di chi dopo ha intitolato a Leoni un Istituto che ne ha diffuso il pensiero e ne ha posto il nome al centro del dibattito culturale italiano.

Volendo semplificare, le vicende della “fortuna” di Leoni possono essere riassunte in quattro fasi. La prima, che coincide con la sua vita, e quella della sua formazione come filosofo del diritto, professore, direttore di rivista, animatore e partecipe di dibattiti nazionali ed internazionali.

La seconda è quella che si potrebbe definire degli anni del (parziale) silenzio-oblio, che va dal 1967 al 1995.

La terza è quella della cosiddetta “Leoni Renaissance” che coincide con il dibattito sul suo pensiero e con la ripubblicazione in Italia e all’estero di altre sue opere o raccolte di scritti curate da giovani studiosi che non l’avevano conosciuto.

Da allora, a smentire la tesi che quello di Leoni fosse un liberalismo dottrinario e poco concreto, il suo nome è diventato piuttosto popolare grazie alle tante attività dell’Istituto Bruno Leoni e alla considerazione che i suoi ricercatori godono nel mondo della cultura, della politica, dell’economia e dell’impresa.

Grazie alle monografie dedicategli – a iniziare da quella di Antonio Masala del 2003,[16] di Emma Baglioni del 2004,[17] poi quella di Carlo Lottieri del 2006,[18] e gli altri scritti, prefazioni e introduzioni alla ripubblicazione delle sue opere apparse successivamente (ma il flusso di pubblicazioni è lungi dall’essersi interrotto) – di Leoni ora sappiamo se non molto (e questo perché in seguito alla sua tragica e imprevista scomparsa moltissime delle carte personali e delle lettere sono state perse), quel che basta per farci un’idea accurata del suo pensiero e della sua rilevanza internazionale.[19]

Prima dell’Introduzione di Teresa Serra alla raccolta delle opere “giovanili”, della formazione di Leoni tra i filosofi del diritto italiani (ovvero del periodo che va dalla sua laurea con Gioele Solari alla sua chiamata a Pavia, ai primi scritti sugli “austriaci” e alla fondazione de «Il Politico»), si sapeva poco. Come poco si conosceva della sua posizione nei dibattiti dei filosofi del diritto italiani su Kelsen, sul positivismo giuridico e sulla filosofia analitica. La circostanza che l’attenzione si sia concentrata sul “Leoni liberale”, e la mancanza di specifiche competenze sulle figure e sulle problematiche con le quali Leoni si confronto negli anni della sua formazione, a iniziare da quella di Widar Cesarini Sforza, hanno finora fatto sì che quegli anni fossero un po’, e ingiustamente, trascurati (pur con l’importante eccezione di un saggio di Carlo Lottieri che mette in luce l’influenza di Cesarini Sforza su Leoni).[20]

Col risultato di non capire bene da dove nascesse il Leoni che conosciamo e che è, sostanzialmente, quello che inizia nel 1950 con le recensioni a Mises, Human Action, del 1948 e a Hayek, Individualism and Economic Order, del 1948, sulla rivista «L’industria»,[21] diretta da Ferdinando di Fenizio.

La mia impressione è che questa relativa ignoranza sull’uomo-studioso Leoni sia dovuta a una serie di motivi: 1) la perdita di gran parte della sua corrispondenza; 2) il fatto che coi suoi familiari non parlasse di questioni scientifico-accademiche (come pure pare che non parlasse della sua attività “militare” nella Resistenza); 3) che lo stesso avvenisse coi suoi allora giovani allievi (coi quali pare avesse un atteggiamento anche autoritario e scostante), salvo forse che con Alessandro Giuliani (il cui riserbo, dopo la rottura, risulta essere stato totale e anche Scaramozzino mai me ne accennò le ragioni); 4) che i suoi colleghi non erano in grado di seguirlo e che si limitavano, quando non ne deprecavano l’“arroganza intellettuale”, a ricordarne il carattere brillante e la varietà di interessi culturali ed artistici; 5) che preso da innumerevoli attività (compresa quella di avvocato), Leoni poco si curasse di dare un’immagine “umana”; 6) che se i colleghi, salvo rare eccezioni, non lo ricordarono fu perché su di essi Leoni non esercitò nessuna influenza.

Si trattava, come ben sintetizza in un’intervista Norberto Bobbio, di mondi che non comunicavano o che non riuscivano a farlo. Racconta infatti Bobbio:

«Dicevo che gran parte di quello che ho scritto, il mio impianto sistematico, è ormai un cantiere abbandonato. Penso alla teoria generale del diritto costruita in gran parte sul formalismo della dottrina pura del diritto e di orientamento positivistico […] Ho letto in questi giorni un dibattito interessante, che mi ha insieme affascinato e respinto, sul libro di un vecchio amico torinese, morto precocemente, Bruno Leoni, allievo, come me dello stesso maestro Gioele Solari, La libertà e il diritto (scritto in inglese alcuni anni fa ma tradotto soltanto recentemente in italiano), che rovescia completamente la prospettiva positivistica: diritto spontaneo contro diritto riflesso, diritto contrattuale contrapposto a diritto legislativo, il diritto della società civile dove vigono le leggi del mercato, contrapposto al diritto dello Stato, non l’obbligo come punto di partenza ma la pretesa».[22]

Si potrebbe però anche pensare che a Leoni, proiettato sui più ampi scenari politico-culturali della Mont Pelerin Society, il rapporto con i colleghi italiani forse neanche interessava. Va poi osservato che la sua scomparsa dal mondo accademico italiano non è riconducibile al suo anticomunismo perché l’ambiente accademico della filosofia del diritto e della dottrina dello Stato dei suoi tempi non era certamente di “sinistra”. Non ci fu dunque nessun “complotto” contro Leoni e contro la sua memoria, ma un insieme di circostanze difficili e sfavorevoli che i suoi pochi allievi ed estimatori non ebbero la forza di contrastare e di rovesciare.

Ma se tutto questo può spiegare il silenzio che cadde su Leoni, il coraggio e la perspicacia di Aldo, la sua “operazione culturale” appaiono in una luce ancora più brillante.

Per aprire una nuova stagione al liberalismo italiano traendolo dalle “italiche secche” in cui si era arenato, e per contrastare la trasformazione dei liberali in liberal, c’era bisogno a) di mostrare che non era indispensabile l’ennesima importazione di modelli e di pensatori stranieri e b) di mettere in luce come alla rinascita del liberalismo classico e alla nascita del Libertarianism aveva contribuito in maniera determinante anche un italiano. Ciò che può anche sembrare paradossale se si considera che Freedom and the Law è un’opera così estranea alla tradizione liberale italiana che l’autore non si peritò neanche di tradurla.

Penso che Aldo avesse capito questa esigenza di radicale rinnovamento e delle sue condizioni. Ciò che mi induce ad attribuire a Leoni una posizione centrale nel catalogo della Liberilibri e, soprattutto, consente di comprendere il contributo che Aldo ha dato alla possibilità che in Italia si parli ancora di liberalismo e di una cultura liberale e libertaria.

Comunque sia, il rapporto con la Scuola Austriaca e con gli esponenti del New Classical Liberalism non si tradusse in una “trascrizione” o in una parafrasi, poiché Leoni quelle idee le apprese, le criticò e le rielaborò “in proprio”, e andando ben al di là delle formulazioni originarie. In breve, di quella rinascita egli fu parte attiva. La prova di ciò è abbastanza immediata a chi legge Freedom and the Law conoscendo i temi e le problematiche del liberalismo degli anni Cinquanta: se le opere di Hayek, di Friedman, di Mises, di Buchanan segnano la rinascita del liberalismo classico, quella di Leoni si proietta ancor più in avanti perché si colloca sul crinale tra liberalismo classico e libertarianism.

Dell’incipiente libertarianism, infatti, Leoni anticipa temi e, si pensi soltanto alla sua critica della rappresentanza, mette in discussione alcuni dei presupposti teorico-politici del liberalismo classico che in quegli stessi anni i suoi amici della Mont Pelerin Society[23] non osavano mettere in discussione. Ed oggi, a rileggere in maniera comparativa le loro opere di quegli anni, si potrebbe anche osservare, con una punta di malinconia, come non abbiano certamente ecceduto in riconoscimenti nei confronti di Leoni.

Dunque, battaglie filosofico-culturali e politiche (come quella che, anche a livello giornalistico, Leoni intraprese contro la pianificazione sostenuta dal centro-sinistra) comprensibili nei loro risvolti pratici e polemici, ma un po’ meno nei loro presupposti teorici, a cui si aggiunga il costante interesse di Leoni per il dibattito sulle teorie economiche della politica e della democrazia e per il tema della metodologia delle scienze sociali,[24] nei quali si mostra una, ancora una volta originale, commistione di temi “austriaci” e di temi connessi alla profonda rivoluzione “scientistica” che in quegli stessi anni stava avvenendo nel campo della scienza politica e delle scienze sociali teoriche ed empiriche per effetto della ricezione delle idee di Max Weber e del neopositivismo.[25]

Fatto sta che questa prima fase si può riassumere dicendo che l’incidenza di Leoni nelle vicende della cultura filosofico-politico-giuridica di quegli anni, fatti salvi i suoi vivaci interventi a convegni (soprattutto dei filosofi del diritto) che suscitarono discussioni, e i suoi scritti giornalistici,[26] fu affatto marginale. Leoni, sostanzialmente, in quegli anni non fu un emarginato, ma un incompreso e soprattutto un “pensatore inattuale”.

Ma forse quel che maggiormente contribuì alla sua temporanea rimozione fu proprio l’inattualità di una della sue convinzioni più radicate: ovvero che ogni incremento delle scelte collettive si sarebbe trasformato in una limitazione e in una riduzione delle libertà individuali. Una convinzione che si scontrava con un ambiente culturale che, in quasi tutte le sue articolazioni, coltivava e ricercava invece l’utopia della loro compatibilità da raggiungere tramite un’altra delle “bestie nere” di Leoni: quel processo di produzione legislativa del diritto che porta prima alla overlegislation e che poi si trasforma in un incremento dell’incertezza individuale e sociale e in crisi delle istituzioni.

Ed è chiaro che mettendone in discussione uno dei pochi assunti comuni e condivisi, anche se diversamente inteso, Leoni non poteva aspettarsi niente da nessuno.

Come si è detto, quando Leoni morì nessuno dei suoi allievi “era in cattedra” e con alcuni di essi i rapporti si erano bruscamente chiusi.[27] Sopravviveva la sua rivista, ma la rete di contatti internazionali col tempo, anche per ragioni anagrafiche, si assottigliò.

Il panorama culturale e politico era cambiato e nell’apparente trionfo di quel kelsenismo che Leoni aveva avversato con decisione, ma anche con la consapevolezza dell’entità e della rilevanza del fenomeno, si erano imposti altri pensatori e altre problematiche.

Le occasioni per parlare di Leoni furono così talmente poche da potersi ridurre al dibattito sulla pubblicazione, nel 1980, della citata raccolta di saggi Scritti di scienza politica e teoria del diritto.[28] Non sembra quindi un’esagerazione affermare che dal 1967 al 1994 non ci fu una presenza di Leoni nel dibattito italiano sulle scienze sociali, anche se ogni tanto il suo nome veniva ricordato, accanto a quelli di Bobbio e di Giovanni Sartori, tra i padri della scienza politica italiana del dopoguerra.[29] Cosa indubbiamente tanto vera e sovente dimenticata, quanto riduttiva perché Leoni non fu soltanto uno scienziato politico ma forse, o soprattutto, un filosofo politico. Solo che i filosofi politici e i filosofi del diritto di allora di Leoni non sapevano che farsene, e non soltanto perché anche quelli che non lo erano (e non erano pochi) nutrivano una sorta di timore reverenziale nei confronti dell’ideologia marxistica egemone che non osavano sfidare apertamente. E i liberali italiani, alcuni dei quali lo avevano conosciuto personalmente, continuavano a non rendersi conto che un eventuale rilancio della tradizione liberale italiana non poteva prescindere dall’unico suo esponente che nel dopoguerra era stato interlocutore di Buchanan, Friedman, Hayek, Mises, etc.

Qualcosa stava comunque maturando. Negli anni Ottanta, e con un’improvvisa quanto inaspettata accelerazione dopo la fine del socialismo reale e la dissoluzione del marxismo teorico e del materialismo storico, il panorama cambia. Anche quel rifugio dei pavidi, che consisteva nel pensare alla possibilità di un socialismo non marxista, non è più indispensabile. Ed inoltre in alcuni casi bisogna continuare a vivere riciclandosi e aprendosi a nuove idee.

Crollano così le scomuniche e i pensatori poco prima citati, che Leoni aveva introdotto in Italia sin dagli anni Cinquanta, diventano improvvisamente popolari e intesi, discussi e anche vituperati, come i punti di riferimento di un nuovo liberalismo che, per consunzione dell’avversario, sembrava ormai il trionfo della libertà; del liberalismo sul socialismo e sulla teoria democratica fondata sul binomio Kelsen-Keynes. Il liberalismo torna così ad essere di moda. Ma senza che i liberali tradizionali italiani, che per via di un’indebita quanto fallace estensione dei propri schemi mentali li avevano paventati come “neo-liberisti”, avessero dato un qualche contributo. E fu a questo punto impossibile non accorgersi di, o dimenticare, Leoni.

Il resto è noto e l’effetto principale de La libertà e la legge non è stato quello di suscitare un’effimera attenzione su un pensatore ignoto o dimenticato, ma quello di indurre anche chi non ne aveva voglia ne intenzione a cimentarsi con una teoria del liberalismo e, per estensione, con una filosofia delle scienze sociali di cui si aveva una conoscenza parziale che induceva a frequenti e talora grossolani fraintendimenti.

Naturalmente, presentare l’opera come il frutto ignoto o trascurato della discussione di un italiano avvolto fino ad allora nel mistero con gli oramai celebri e “nobilitati” Friedman e Hayek ebbe il suo peso, e ciò, per di più (ma la vicenda, come si è detto, inizio nel 1992), avvenne nel momento in cui si parlava di un “liberalismo di massa” che si auspicava potesse finalmente realizzarsi. Ma anche chi quelle speranze non le condivideva si rese conto non soltanto del livello teoretico del pensiero di Leoni, ma anche del fatto che si trattava dell’unico pensatore italiano che, insieme ad Antonio Gramsci, ma ovviamente su sponde diverse, aveva avuto una qualche influenza sullo sviluppo intellettuale di due delle principali ideologie del secondo dopoguerra.

La pubblicazione de La libertà e la legge produsse così un “effetto a cascata” che portò prima alla ricerca di altri scritti di Leoni per cercare di comprenderne meglio il pensiero e le implicazioni, poi alla pubblicazione di raccolte di altre sue opere ed infine ai primi articoli, saggi e monografie sul suo pensiero. Un elenco lungo e forse anche in questa sede inutile, che si completerà con la pubblicazione delle Opere complete promossa dall’Istituto Bruno Leoni.

Possiamo così dire, con sarcasmo, che nel momento in cui ritorna ad essere politicamente irrilevante, il liberalismo italiano del dopoguerra ha trovato il suo emblema.

Ma se quell’eclissi non possiamo certo attribuirla a Leoni, è ad Aldo Canovari che possiamo e dobbiamo attribuire il merito di avere fatto conoscere Leoni e di averlo reso un protagonista del nostro dibattito filosofico-politico e giuridico.


NOTE:

1 Bruno Leoni, Freedom and the Law. Expanded Third Edition, Indianapolis, Liberty Press, 1991.

2 In «Bollettino di Filosofia Politica», III (1991), 5.

3 In «Il Pensiero Politico», XIV (1981), n. 2.

4 Milano, Giuffre, 1980.

5 Sul tema si veda Antonio Masala, Crisi e rinascita del liberalismo classico, Pisa, Edizioni ETS, 2012.

6 «Il Politico», LVII (1992), n. 3.

7 Di cui e indice anche lo sterminato numero di recensioni ad opere dei più svariati temi che pubblico su «Il Politico» e che ora sono raccolte in Bruno Leoni, Opere Complete, vol. XI, Recensioni di libri (1950-1959), a cura di Antonio Masala, Torino, IBL Libri, 2013.

8 Un interesse costante si manifesta in vari saggi tra i quali Il problema del calcolo economico in una economia di piano, in «Il Politico», XVIII (1963), n. 3, pp. 415-460 (dalla cui pubblicazione, dato che allora, anche in Italia, il dibattito sulla pianificazione era acceso, pare che Leoni si aspettasse molto a livello di impatto politico), in cui l’eco delle tesi hayekiane e misesiane è avvertibile già dal titolo, e quello, scritto in collaborazione col matematico torinese Eugenio Frola, Possibilità di applicazione delle matematiche alle discipline economiche, in «Il Politico», IV (1955), n. 2, pp. 190-210. I principali scritti di carattere economico di Leoni sono stati ripubblicati, a cura e con Introduzione di Sergio Ricossa, col titolo La sovranità del consumatore, Roma, Ideazione, 1997.

9 La sua opposizione alla teoria della legislazione è ricordata da Nicola Matteucci in Positivismo giuridico e costituzionalismo, Bologna, Il Mulino, 1996.

10 Del quale, oltre ai ricordi personali su Leoni negli anni dell’università a Pavia: Un “ponte” tra economia e politica. Intervista a Francesco Forte, cura di Alessandro Balestrino e Raimondo Cubeddu, in «Il pensiero economico italiano», 2002, n. 2, si veda, a eloquente testimonianza dell’interesse di Leoni per le tematiche della scienza politica, il saggio Il pensiero di Leoni sulle decisioni di voto dei rappresentanti degli azionisti e degli elettori e sulla rilevanza della probabilità nelle decisioni individuali e collettive, in Antonio Masala, a cura di, La teoria politica di Bruno Leoni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005.

11 E che lo portò anche a recensire l’opera di Leo Strauss, Natural Right and History, del 1953 (cfr. «Il Politico», IV (1954), n.1); ora in Bruno Leoni, Opere Complete, vol. XI, cit.), a pubblicarne per la prima volta in Italia un saggio (cfr. Leo Strauss, Che cosa è la filosofia politica, in «Il Politico», VI (1956), n. 3; si tratta di una versione della prima parte di What is Political Philosophy?, che nel 1959 apparirà in forma integrale in What Is Political Philosophy? and Other Essays, Glencoe, Ill., Free Press), e la Premessa di Leoni induce a pensare che egli avesse un contatto diretto con Strauss), e a scrivere un acuto e tuttora attuale commento critico sul suo pensiero: Giudizi di valore e scienza politica, in «Il Politico», VII (1957), n. 1.

12 Cfr. Omaggio a Bruno Leoni, a cura di Pasquale Scaramozzino, Quaderni della Rivista “Il Politico», n. 7, Milano, Giuffre, 1969. Il Quaderno contiene gli atti della commemorazione di Leoni tenutasi all’Università di Pavia nel 1968, con relazioni di M. Rolla, G. E. Ferri, F. A. von Hayek, M. Albertini, R.Treves, A. Febbrajo, R. Melis, M. Stoppino, interventi (tra gli altri), di N. Balabknis, V. Beonio Brocchieri, N. Bobbio, G. Del Vecchio, S. H. Frankel, M.Friedman, O. von Habsburg, A. Kempf, G. Maranini, J.Rueff, A. A. Shenfield, e una prima bibliografia dei suoi scritti.

13 Nel 1982, XLVII, n. 1, sono apparsi gli atti di una commemorazione, Il pensiero politico e giuridico di Bruno Leoni, tenutasi in occasione della pubblicazione del volume di saggi curata da Mario Stoppino, Scritti di scienza politica e teoria del diritto, cit., con interventi di M. Stoppino, N. Bobbio, U. Scarpelli, E. di Robilant, A. Febbrajo, G. Urbani, G. Giavazzi. A questa, sempre promosse dalla Direzione della Rivista, sono seguite altre iniziative leoniane, i cui atti sono stati pubblicati con i titoli: Un evento della cultura giuridica e politica italiana: la traduzione di “Freedom and the Law” di Bruno Leoni, LX (1995), n. 2 (con interventi di R. Cubeddu, A. Febbrajo, A. Martino, A. M. Petroni, V. Zanone, M. Stoppino); Sull’eredità di Bruno Leoni. Un dibattito a più voci, LXI (1996), n. 4 (con interventi di R. Cubeddu, M.Barberis, V. Zanone, A.M.Petroni, F.M.Nicosia); Bruno Leoni nel XXX della scomparsa, LXIII (1998), n. 4 (con interventi di L. Bagolini, M. Barberis, C. Callieri, R. Cubeddu, D. da Empoli, M.Stoppino). Scaramozzino mi mostrò un dattiloscritto in parte autobiografico inviatogli da Mario Galizia, che fu collega di Leoni a Pavia, in cui ampio spazio era dedicato alla figura e all’opera di Leoni. Non so che fine abbia fatto, ma una veloce lettura mi diede l’impressione di una testimonianza di grande interesse.

14 Alcuni sono ora tradotti in Bruno Leoni, Il diritto come pretesa, a cura di Antonio Masala, Introduzione di Mario Barberis e Postfazione di Alberto Febbrajo, Macerata, Liberilibri 2004, ma già alla fine degli anni Novanta, Mario Stoppino aveva curato una raccolta di saggi sullo stesso tema dal titolo, Le pretese e i poteri: le radici individuali del diritto e della politica, Milano, Società
Aperta, 1997.

15 Il cui catalogo ha ospitato parecchie raccolte di saggi di e su Leoni.

16 Antonio Masala, Il liberalismo di Bruno Leoni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.

17 Emma Baglioni, L’individuo e lo scambio. Teoria ed etica dell’ordine spontaneo nell’individualismo di Bruno Leoni, Napoli, ESI, 2004.

18 Carlo Lottieri, Le ragioni del diritto. Libertà individuale e ordine giuridico nel pensiero di Bruno Leoni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.

19 E un’idea la si può avere leggendo i saggi confluiti in Antonio Masala, a cura di, La teoria politica di Bruno Leoni cit., che raccolgono gli atti di un convegno su Leoni organizzato da Igino Zavatti per «Nuova Civiltà delle Macchine», a Forlì il 28-29 marzo 2003 e che vide la partecipazione di gran parte dei suoi studiosi italiani: M. Barberis, R. Cubeddu, A. Febbrajo, G. Fedel, F. Forte, C. Lottieri, S. Mazzone, P. G. Monateri, A. Panebianco, P. Scaramozzino, V. Zanone.

20 Cfr. Carlo Lottieri, Alle origini della teoria del diritto come pretesa individuale. Da Widar Cesarini Sforza a Bruno Leoni, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 1, 2011, pp. 63-90, ma anche Girolamo de Liguori, Per un profilo di Bruno Leoni giurista e filosofo. Con trentadue lettere inedite a Widar Cesarini Sforza, in «Foedus», 14, 2006, pp. 97-128.

21 Cfr., rispettivamente, «L’Industria», 1950, n. 1, pp. 145-157, e 1950, n. 3, pp. 469-475.

22 Cfr. Luigi Ferrajoli, Paolo Di Lucia, a cura di, Diritto e democrazia nella filosofia di Norberto Bobbio, Torino, Giappichelli 1999, p. 284; riguardo alla riconosciuta sottovalutazione della teoria giuridica di Leoni da parte di Bobbio si veda anche l’intervista a Danilo Zolo, in Id., I signori della pace, Roma, Carocci, 1998, p. 95.

23 Cfr., ad esempio, Philip Mirowski, Dieter Plehwe (a cura di), The Road from Mont Pèlerin: The Making of the Neoliberal Thought Collective, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2009; Angus Burgin, The Great Persuasion: Reinventing Free Markets since the Depression, Cambridge, MA.-London, Harvard University Press, 2012; D. Stadman Jones, Masters of the Universe: Hayek, Friedman, and the Birth of Neoliberal Politics, Princeton, Princeton University Press, 2012.

24 Leoni fu anche uno più attivi esponenti del Centro di Studi Metodologici di Torino, su cui si veda S. Paolini Merlo, Consuntivo storico e filosofico sul “Centro di studi metodologici” di Torino (1940-1979), Genova, Pantograf (Cnr), 1998.

25 Anche riguardo allo scientismo, allo storicismo e a Weber Leoni aveva un atteggiamento meno intransigente dei suoi amici “austriaci”.

26 Cfr. Bruno Leoni, La Libertà, a cura e con Introduzione di Valerio Zanone, Milano, Il Sole-24 Ore, 1990, e Bruno Leoni, Collettivismo e libertà economica. Editoriali militanti (1949-1967), a cura e con Introduzione di Carlo Lottieri, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007.

27 È il caso di Alessandro Giuliani su cui si veda Antonello Ciervo, Alessandro Giuliani e Bruno Leoni: “un aspro e doloroso conflitto” metodologico, in Francesco Cerrone e Giorgio Ripetto, a cura di, Alessandro Giuliani: l’esperienza giuridica fra logica ed etica, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 93-117.

28 Tale opera, a lungo indisponibile, è stata riedita, con una Prefazione di Giorgio Rebuffa: Bruno Leoni, un liberale italiano, Torino, IBL Libri, 2009.

29 Cfr. Leonardo Morlino, Premessa a Id., a cura di, Scienza Politica, Torino, Fondazione Agnelli, 1989.