Rainer Zitelmann: «I sussidi dall'Europa del Nord a quella del Sud non aiuteranno nessuno». La Cina è forte grazie al mercato, non al pubblico. «Dovreste trovare il vostro Gerhard Schröder per fare le riforme, ma non lo vedo» Rainer Zitelmann è uno storico, economista e sociologo tedesco. In Italia ha appena pubblicato per Ibl Libri «
La forza del capitalismo, un viaggio nella storia recente di cinque continenti».
Come legge la situazione di Ue ed Eurozona dopo le decisioni sul Recovery Fund? «Più denaro e sussidi dal Nord al Sud non aiuteranno l'Italia o qualsiasi altro Paese. L'Italia non ha bisogno di più denaro, ha bisogno di più capitalismo. Il Capitolo 8 del mio libro si focalizza sull'Indice delle libertà economiche e c'è una scoperta interessante: i cosiddetti “Frugal Four” e la Finlandia sono tra i Paesi con livelli più alti di libertà economica. Nell'Indice - dove più il numero è basso più economicamente libero è il Paese - la Danimarca è al posto otto della classifica, l'Olanda al 14, la Finlandia al 20, la Svezia al 22, l'Austria al 29. In confronto, la Spagna è al 58, la Francia al 64, l'Italia al 74, la Grecia al 100. In Germania, le riforme pro mercato sono persino state realizzate da un socialdemocratico, Gerhard Schröder. All'Italia ora serve il suo proprio Gerhard Schröder per spingere le riforme. Ma non vedo chi possa giocare questo ruolo in Italia, sfortunatamente».
Come giudica le risposte dei governi alla crisi da coronavirus? «Ci sono significative differenze di approccio. Alcuni Paesi, ad esempio gli Stati Uniti e il Brasile, purtroppo hanno al vertice politici che hanno massicciamente sottostimato il virus. Dobbiamo dire che i governi hanno ancora una volta fallito nella maggioranza dei Paesi. Questo è il problema fondamentale oggi: lo Stato è molto debole dove dovrebbe essere forte, per esempio nella sicurezza interna e nella prevenzione delle crisi, ed è forte dove dovrebbe essere debole, nell'economia».
C'è chi dice che la pandemia e le risposte alla pandemia stiano distruggendo il funzionamento corretto dei mercati finanziari. «Un problema preesistente che è stato esacerbato dalla crisi da coronavirus è che il livello dei debiti pubblici è estremamente alto e le politiche delle banche centrali sono così dannose. Non dobbiamo dimenticare che le cause della crisi finanziaria sono state l'eccessivo indebitamento e la prescrizione di trattare la crisi con ancora più debito, tagliare i tassi d'interesse e comprare bond. Penso che sia molto pericoloso».
In che senso ritiene pericolose le politiche delle banche centrali? «Quel che le banche centrali stanno facendo è una delle forme più pure di economia pianificata che si possano vedere. I tassi d'interesse sono il prezzo del denaro. Se i tassi d'interesse sono aboliti, ciò equivale ad abolire il mercato. Le politiche delle banche centrali sono al momento la minaccia maggiore che il capitalismo ha di fronte».
Oggi si parla molto di crisi del capitalismo, in effetti... «In realtà, ci sono due crisi. La prima è il risultato di un'interferenza crescente dello Stato nell'economia combinato con le politiche delle banche centrali. In molte aree, il mercato è sempre più spinto ai margini dallo Stato. La seconda è una crisi di pensiero: la gente ha dimenticato i principi che definiscono l'economia del libero mercato».
Ci sono però diversi modelli di capitalismo nel mondo. Che si confrontano e scontrano tra loro: americano, europeo, cinese, russo. «Il capitalismo puro non esiste da nessuna parte, nel mondo. Tutti i sistemi, sia in Cina, in Europa, negli Stati Uniti, sono un misto di capitalismo e socialismo, di mercato e Stato. La mia teoria è che il fattore più importante sia come le due componenti cambiano nel tempo. Prendiamo la Cina, dove il mercato è stato rafforzato negli scorsi quarant'anni e lo Stato ha perso un po' della sua influenza, nonostante rimanga potente. Paragoniamo la Cina con il Venezuela, che ha preso il sentiero opposto nei vent'anni scorsi. La gente in Cina sta molto meglio oggi rispetto a quarant'anni fa e la gente in Venezuela sta molto peggio di vent'anni fa».
Siamo di fronte a una ritirata, almeno parziale della globalizzazione: è tornata la geopolitica, e con essa la storica competizione tra potenze. «Sì, combinati questi sono sviluppi molto negativi. La globalizzazione capitalista ha fatto di più per combattere la povertà di cinquant'anni di conferenze Onu, di concerti di beneficenza e di aiuti allo sviluppo messi assieme. Per questo vedo in una luce così negativa il rovesciamento parziale della globalizzazione capitalista».
La Cina e gli Stati Uniti emergono dalla crisi da virus con le loro reputazioni internazionali compromesse. Ma l'Europa sembra diventare più «cinese», nel senso che sviluppa una nuova politica industriale (i Campioni Europei), ha un nuovo approccio alla concorrenza e governi più attivisti. Per battere la Cina diventa più cinese. «Penso che l'Europa non sia riuscita a capire le ragioni del successo economico della Cina nei decenni recenti. La maggior parte dei politici europei crede che la Cina sia così economicamente forte perché il governo centralizzato gioca un ruolo così grande. E usano questa convinzione errata per giustificare un maggiore intervento dello Stato anche in Europa. Quando ero a Pechino, ho parlato con l'economista Zhang Weiying, il quale mi ha ripetutamente sottolineato che il successo della Cina non dipende dallo Stato ma è arrivato nonostante lo Stato. Tutto ciò che la Cina ha conquistato negli scorsi quarant'anni è il risultato delle sempre maggiori libertà di mercato. Molti europei sottostimano anche il ruolo del settore privato nella Cina di oggi. Il settore privato cinese contribuisce per circa due terzi della crescita del Paese e nove decimi dei nuovi posti di lavoro».
Da
L’Economia – Corriere della Sera, 27 luglio 2020