Alberto Mingardi
Rassegna stampa
7 settembre 2020
Agroalimentare: così il libero mercato ha battuto il Covid
Abbiamo trovato nei negozi tutto quello che volevamo perché il settore si è riorganizzato per rispondere alla diversa domanda globale
Il lockdown ha avuto effetti negativi sull'export e ha alzato il rischio di fame nelle zone più povere del mondo Ma la crisi sanitaria non è diventata un'emergenza globale sul cibo perché nelle catene di approvvigionamento sono scattati aggiustamenti, concessi da oltre 20 Paesi in ambito Wto, che hanno riempito gli scaffali
«Attualmente non vi è alcun motivo correlato all'offerta per cui la crisi sanitaria in corso dovrebbe trasformarsi in una crisi alimentare». Lo scrive l'Organizzazione mondiale del commercio in una nota dello scorso 27 agosto e non è una considerazione banale. Le file al supermercato, i carrelli pieni di pacchi di pasta e passata di pomodoro, la rincorsa alle farine. Quando il Covid-19 era una minaccia ancora più sconosciuta di quanto lo sia ora, molti hanno reagito come avrebbero fatto i nostri nonni: supponendo che l'emergenza sanitaria avrebbe portato, a un certo punto, alla scarsità di beni. Rispetto ai prodotti alimentari, gli esperti avevano perplessità specifiche.
Il processo
Le misure di lockdown decise dai governi implicavano un fermo alla produzione e, per quanto larghe potessero essere le maglie delle attività ritenute «essenziali», erano destinate ad avere un impatto anche sui beni di prima necessità. Per diventare salsa, il pomodoro deve essere appunto passato, lavorato, inscatolato, distribuito. Una logistica efficiente è un meccanismo delicato e può essere messo a repentaglio da barriere e restrizioni imposte all'improvviso.
Il distanziamento sociale, necessario per rallentare il diffondersi del virus, era destinato a cambiare abitudini e consumi. Le persone possono mangiare la pizza in pizzeria o farsela da soli nel forno di casa. Gli ingredienti possono anche essere gli stessi, ma vengono distribuiti e commercializzati in pezzature diverse, tramite circuiti differenti. Gli americani, abituati a mangiare fuori casa, avrebbero dovuto prendere velocemente confidenza con i fornelli. Il che significava che tutta la filiera dell'alimentare doveva cambiare, rapidamente, il proprio orientamento.
Secondo McKinsey, in marzo negli Stati Uniti i consumi alimentari delle famiglie americane sono cresciuti del 29 per cento sull'anno precedente, ma nello stesso periodo gli incassi dei ristoranti e delle caffetterie sono diminuiti del 27 per cento. Non era scontato che il sistema reggesse. Lo scambio di prodotti agricoli e alimentari è una faccenda particolarmente complicata, sempre intrecciata con facili richiami alla superiore qualità del prodotto nazionale, che nascondono spesso interessi votati a limitare la concorrenza.
La produzione stessa dipende, in buona parte, da lavoratori stagionali, spesso migranti, e quindi è messa a rischio dal crescere delle restrizioni al movimento delle persone. Eppure la Wto spiega che, mentre «il commercio complessivo di merci è diminuito drasticamente nella prima metà del 2020, le esportazioni di prodotti agricoli e alimentari sono aumentate del 2,5% durante il primo trimestre dell'anno rispetto allo stesso periodo del 2019, seguito da un aumento dello 0,6% ad aprile, anche se i dati preliminari di maggio indicano un lieve calo (-1,3%) rispetto al 2019». Il dato di marzo «riflette in gran parte l'aumento della domanda di prodotti al dettaglio» mentre ad aprile «le esportazioni di diversi gruppi di prodotti individuali sono diminuite a causa della riduzione della domanda innescata dalle misure di lockdown».
Il panorama è frastagliato e rivela forti differenze: le esportazioni dai Paesi in via di sviluppo sono diminuite, ed è un problema visto che si tratta di Paesi che dipendono in larga misura dal settore primario. Le esportazioni di cotone sono diminuite in modo significativo a causa dell'impatto del Covid sul commercio globale di abbigliamento.
Nel 2020, la domanda globale di cotone dovrebbe contrarsi del 13%. È probabile che circa quattro milioni di piccoli agricoltori in Africa vengano gravemente colpiti da queste tendenze al ribasso. In Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali il cotone pesa per un terzo della forza lavoro e per un valore compreso fra l'8 e il 12% del Pil.
La sorpresa
La sorpresa positiva degli scorsi mesi è l'adattabilità e la flessibilità della filiera dell'alimentare. Le previsioni più fosche non si sono realizzate. Gli italiani hanno trovato costantemente nei supermercati non solo i cereali per la loro colazione, ma esattamente i cereali della loro marca preferita. Questo è dovuto a mutamenti nelle modalità di approvvigionamento, produzione e distribuzione che sono invisibili agli occhi dei consumatori, ma che sono avvenuti. Si è molto parlato di come erogare sostegni e sussidi per costruire filiere più «robuste» e di come incentivare un rimpatrio delle produzioni. Ma cosa-deve-essere-prodotto-dove è una decisione che è meglio lasciare agli operatori economici, sul campo. La loro capacità di adattamento può stupirci. La crescita del commercio mondiale per prodotti agricoli e alimentari lo testimonia.
Gli effetti
Tuttavia, purtroppo non si può pensare che le misure anti-pandemia non abbiano effetti collaterali. Secondo le stime più recenti del World Food Programme, 270 milioni di persone potrebbero trovarsi in una situazione di grave insicurezza alimentare entro la fine del 2020, un aumento dell'82%rispetto a prima della pandemia. Scrive il Wto che «il commercio ha un ruolo cruciale da svolgere nella sicurezza alimentare globale, facendo corrispondere le abbondanti forniture alimentari con l'aumento della domanda alimentare» e faremmo bene a convincercene.
Le politiche in fatto di dazi, nella crisi, per una volta hanno «mostrato una tendenza liberalizzante volta a consentire un approvvigionamento costante di prodotti alimentari». Oltre 20 Paesi (inclusi alcuni non aderenti al Wto) hanno concesso esenzioni temporanee sui dazi ai prodotti agricoli e alimentari, o introdotto un'esenzione temporanea dall'Iva su tutte le importazioni (come il Kenya).
L'Unione europea, per accelerare le procedure doganali, ha introdotto speciali «corsie verdi» per i prodotti agricoli. Sono decisioni di dettaglio, che non raggiungono le prime pagine dei giornali e che soprattutto presuppongono un non fare da parte della politica e non grandi stanziamenti. Ma sono cruciali per la grande sfida del nostro tempo: sfamare sette miliardi di persone.
Per farcela, è bene non dimenticare che le imprese votate al profitto hanno l'incentivo migliore ad adattarsi continuamente, per fare in modo che alla domanda di cibo corrisponda un'offerta.
da L'Economia - Corriere della Sera, 7 settembre 2020