Pace fiscale: 3 caveat

Servirebbe una pace fiscale vera, fondata sull'idea che un fisco meno opprimente è la prima forma di sostegno dell'economia

18 Settembre 2018

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche

Secondo le dichiarazioni del sottosegretario Bitonci, la cosiddetta pace fiscale servirebbe a saldare una volta per tutte i debiti, ad eccezione di quelli previdenziali e da IVA, accertati almeno da una cartella esattoriale. Se fosse così, se riguardasse cioè i debiti conseguenti in particolare a mancati versamenti e quindi conseguenti a regolari e fedeli dichiarazioni che lo Stato non riesce a riscuotere, la scelta avrebbe un senso. Si tratterebbe cioè di una sorta di concordato tra chi vanta un credito e chi non è in grado di pagarlo, similmente a quanto avviene nelle procedure fallimentari.

Ma la situazione non è ancora ben chiarita e c’è il rischio che la “pace fiscale” possa invece essere un’altra cosa: un indulto aperto a tutti i contribuenti, compresi quelli per i quali non si è avviata nemmeno la fase di accertamento e che quindi si “autodenunciano”.

Nel primo caso, benché a governanti e funzionari di Stato non piacerà il paragone con un creditore qualsiasi, abituati come sono a porsi un gradino sopra i comuni mortali, si tratterebbe di prendere atto che bisogna trovare un accordo, come accade appunto quotidianamente per crediti che non riescono ad essere esigiti. Non è forse un bel segnale per i contribuenti che, magari a fatica, hanno pagato sempre tutto alla scadenza, ma sarebbe comunque una scelta pratica, non lontana da quella che, nei rapporti obbligatori, i creditori più avveduti compiono davanti a un debitore difficile.

Nel secondo caso, si tratterebbe di ripetere quella strategia del condono che, nell’opinione di molti, è stata particolarmente colpevole di creare e rafforzare l’evasione fiscale. È possibile che il reiterarsi dei condoni abbia favorito l’evasione. Forse è però più probabile che essa sia invece incoraggiata dal comportamento stesso dello Stato, il quale rende scarso servizio al tentativo di far credere che le tasse siano bellissime.

Prevedere uno stralcio dei debiti certi o contestati può però essere una misura adeguata a definire posizioni aperte in anni di difficile crisi economica, con tre caveat.

Il primo, riguarda i destinatari: aprirlo, come detto, anche ai debiti non accertati, o non tenere nel dovuto conto le condizioni economiche del contribuente, sulle quali, peraltro, l’Agenzia delle Entrate si è spesso già espressa consentendo la rateazione delle cartelle, vuol dire dare un messaggio molto diverso dalla pace fiscale, e più simile a un indulto motivato solo dall’ansia di recuperare nel breve periodo maggior gettito.

Il secondo, collegato al primo, riguarda cosa lo giustifica: chiudere procedimenti aperti al fine di chiuderli al meglio possibile, date le condizioni di esigibilità del debito fiscale, è molto diverso dal chiamare a raccolta tutti debitori, attuali e potenziali, per racimolare tutto l’oro possibile per la patria.

Da ultimo, non per importanza, il terzo caveat riguarda il destino del maggior gettito. Per che cosa verrà utilizzato? Andrà effettivamente a vantaggio della riduzione della pressione fiscale per tutti, o verrà incamerato per ulteriore spesa?

Al di là della natura della pace fiscale, tale destino dipenderà dalle ulteriori scelte di politica economica e fiscale del governo.

Di una vera pace fiscale, che non sia solo una chiusura occasionale di debiti a rischio di perenzione, né tantomeno un condono dissimulato, ne avremmo davvero bisogno. Una pace fiscale che sia, invece, capire che un fisco meno opprimente è la prima forma di sostegno dell’economia. Resta il dubbio che una pace fiscale di questo tipo sia molto lontana da quella che ha in mente l’attuale governo della spesa.

18 settembre 2018

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